Il 'dopo' non è da inventare ma da accompagnare

Il coordinatore della Scuola socio-politica diocesana indica nelle categorie di accompagnamento, flessibilità e fantasia i binari per il 'dopo-Covid': il pensiero politico cristiano è chiamato a dare il suo forte contributo



«Pensavamo di vivere sani in un mondo malato», ha detto nella storica serata di venerdì 27 marzo, in mondovisione, papa Francesco. Nessuno ha battuto ciglio. Nessuno dei grandi leader del pianeta ha osato contraddire questa affermazione. Nessuno, cioè, ha provato a difendere quel modello culturale, antropologico, economico e politico che è premessa e canale di Covid-19. Individualismo sfrenato, globalizzazione senza giustizia, progresso insostenibile, scientismo senza argini, guerre violentissime e conflitti commerciali in cui si usano i più deboli come scudo umano.

Insieme al virus non emerge solo la fragilità di ciascuno di noi, ma la fragilità dell’umanità tutta intera, soggetto collettivo che ha coltivato il mito dell’onnipotenza e dello sviluppo a oltranza e che invece oggi, semplicemente, si riscopre creatura nuda, senza protezioni.

Nell’ambito dell’elaborazione politica di ispirazione cristiana, questo tipo di analisi non è nuova. Basti pensare che proprio in questi giorni si sarebbe svolta – senza Covid-19 – “The economy of Francesco”, un colossale tentativo di sistematizzare, declinare e rendere fruibili i contenuti di un “nuovo paradigma” per il mondo intero. Ma se prima questi contenuti venivano relegati a “utopia” o, più benevolmente, a laica “profezia”, oggi questa severa disamina di ciò che siamo diventati può candidarsi a base per la ripartenza. Più comunità di cura (famiglia, scuola, salute) a tutela dell’inviolabilità e dignità della vita umana, più solidarietà e legami, più Creato, più protezione sistemica dagli choc economici, più legalità a garanzia delle fasce deboli, una finanza ridestinata a sostenere la vita reale, un patto di corresponsabilità tra impresa, lavoro e Stato - nella triplice veste di regolatore, fisco e burocrazia -, una idea di vita “sostenibile” innanzitutto con le esigenze dell’”uomo interiore”, totale tensione verso la pace e la concordia tra i popoli, passando attraverso la strutturazione di un’Europa non solo “potente” ma “autorevole”.

Quando si strutturerà seriamente una riflessione sul “dopo”, sarà inevitabile prendere le mosse dal tanto che la cultura politica d’ispirazione cristiana – seppur esiliata dai partiti - ha prodotto in questi anni. Molto più quanto prodotto nel pre-politico che dai credenti impegnanti nei partiti, in realtà. La formazione di una nuova generazione di laici impegnati, quindi, non potrà prescindere da queste chiavi di lettura, fortemente rilanciate negli ultimi messaggi pasquali di papa Francesco. Letture che dovranno essere quanto più possibile condivise, anche per ricomporre la frattura creatasi tra credenti della morale e credenti del sociale, per nulla azzeratasi dopo la fine del bipolarismo centrodestra-centrosinistra e anzi aggravata dalla nuova contrapposizione tra “sovranisti” ed “europeisti”. Addirittura, l’emergenza Covid-19, anziché avvicinare i credenti per creare un presidio solido della vita e del futuro dell’umanità, ha prodotto un’ulteriore divaricazione tra chi si è posto in dialogo con le istituzioni e chi ha issato la bandiera della religione per pretendere un ordinamento a parte. Per fortuna, queste circostanze non hanno oscurato i molteplici segni di bene. E mettendo insieme tutti questi elementi, possiamo dire che il percorso della Scuola sociopolitica diocesana 2019-2020 non sarà da mettere nel ripostiglio, perché già integralmente declinata sull’idea di alternative da costruire con pazienza e coraggio.

Tuttavia, questi contenuti che sentiamo “nostri” e che ora sentiamo appartenere di più al mondo intero e a diverse culture politiche, vanno declinati in modo corretto e pragmatico. Altrimenti si potrebbe cadere in un errore imperdonabile: dare vita a una forma di “neopauperismo” o “neopopulismo” da contrapporre, appunto, al vivo e vegeto “sovranismo”. Se così accadesse, rimpiangeremo presto anche l’attuale imperfetto liberismo globale messo in croce da Covid-19.

Il pensiero cristiano sul mondo e sull’economia che sarà non può più commettere l’imperdonabile errore di diventare “parte” e, soprattutto, di lasciarsi svilire in ideologia. Per evitare questa deriva, servono tre categorie: accompagnamento, flessibilità e fantasia. Il “dopo” non sarà l’invenzione di un genio ma un cantiere da accompagnare. Il dopo non sarà una ricetta. Il “dopo” sarà fatto di tentativi, aggiustamenti, correzioni. Flessibilità e fantasia potranno evitare che ogni tentativo di far avanzare un “nuovo paradigma” diventi così rigido da risultare poi inapplicabile. Potremmo concludere che sono sbagliati tutti quegli approcci che pretendono di “inventare” il dopo, mentre l’impegno credente è da sempre un incontro proficuo tra realismo, lungimiranza e profezia.

Ma ovviamente stiamo ragionando in una prospettiva positiva, ottimistica, in cui diamo per scontato che una molteplicità di attori sia convinto circa un “dopo” diverso e migliore. Occorre prendere in carico anche l’altra opzione, quella negativa: che il “dopo”, per i decisori pubblici e chi ha responsabilità, sia solo una forsennata corsa a ristabilire le regole e gli stili di “prima”. In quel caso, per i credenti, la priorità sarà rifiutare ogni tentativo di “restaurazione” e attivare ogni forma di mobilitazione per suscitare un cambiamento reale, senza tornare ad adagiarsi sulla finta serenità sociale indotta dai consumi.



UNA RASSEGNA PER RIFLETTERE E CAPIRE

a cura dell’équipe della scuola sociopolitica




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