Quale attesa?

Oggi, riusciamo a vivere con senso questo tempo? Arrivare al Natale attraverso le quattro domeniche che ci guidano, che significato ha e quale significato rischia di non avere? La riflessione di don Lino d'Onofrio

 

di Lino d'Onofrio

 

Il giovane Telemaco era da lungo tempo ad attendere che il proprio padre arrivasse dal lungo viaggio, intorno la storia gli diceva di soprusi e inganni, di racconti su ciò che era stato: le eroiche gesta, la grande gloria. Ed egli era a tal punto preso da tutti questi accadimenti da non accorgersi che quel padre, tanto atteso, era lì sotto i suoi occhi, di fronte a lui.

Il grande “rischio” dell’attesa è proprio quello del non riuscire a vedere più ciò che si attende. Il nostro presente poi sembra quasi essere incapace di tempi di attesa. Oggi - tempo in cui desiderio e compimento devono essere coincidenti, o avere al massimo lo spazio temporale di un bip -, il concetto di attesa e avvento non pare abbia diritto di cittadinanza nella nostra vita.

In questa storia che non si attende più nulla, in cui abbiamo annullato tutto lo spazio tra immaginazione, ipotesi e possibilità, in cui continuiamo a vivere come soggetti per i quali “ciò che penso,è”, arriva puntuale un “tempo” quello dell’avvento. È un momento solo per il credente o piuttosto è l’occasione condivisibile con ogni altra persona per recuperare uno spazio di relazione e risignificare il senso del tempo nella vita? Forse è occasione propizia per darci una nuova possibilità. È tempo di sogni verso un di più possibile, una possibilità di sognare insieme, di attendere insieme. Una possibilità per costruire una memoria comune, un ricordo, una lettura della storia capace di andare a rintracciare i segni dell’umano, dell’amicizia, delle promesse mantenute.

Un tempo della novità che si apre, del diverso da me, dello straordinario che è la vita di un altro. Tempo di volti, di storie concrete, di rischi assunti, di fiducia data. Tempo di educazione allo stupore e alla poesia: un parlare per immagini, perché le parole talvolta non bastano e la parola deve diventare carne, passare per una storia; la parola deve diventare visibile, si deve necessariamente incarnare. Tempo che si avvicina e che ci avvicina nella duplice dinamica di qualcuno che si avvicina a te e tu che ti avvicini a lui e ad altri, tempi di prossimità che preparano il senso dell’incontro (visita dei pastori e dei magi).

È tempo per passare dall’interesse a qualcosa all’interesse a qualcuno e per qualcuno, vivendo non per le mete da raggiungere ma per gli incontri da fare, non per avere argomenti di cui discorrere, ma per vite che sanno dialogare. Tempo di spreco, di quella abbondanza che solo Dio conosce e che solo un cuore tenero di una donna e di un uomo che scopre in sé l’immagine dell’altro sa mostrare. Uno spreco di amore che si chiama dono, esperienza cui siamo poco esercitati, conoscendo solo il senso di un regalo, merce di scambio di sentimenti o convenzioni sociali, con un valore monetizzabile e di cui si attende il contraccambio. Ci è oramai quasi sconosciuta la logica del generoso e inutile gesto di un dono che è gratuità assoluta e dispersione di ricchezza. “Volle venire colui che si poteva accontentare di aiutarci”, ci invita a riflettere San Bernardo, e invece scelse la salvezza per tutti come dono nella carne.

 

 

 

 




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