Il migrante allenatore

Una chiacchierata con Lassaad Azzabi, mediatore culturale del «Centro Nanà – Cooperativa Dedalus» di Napoli, e allenatore della «Dedalus Soccer»

Barba incolta, berretto d’ordinanza, gli occhi di chi ne ha passate tante. E tutto l’entusiasmo di chi vuole abbracciare storie, e accoglierle come se fossero sue. Come se fosse una famiglia allargata. Lassaad Azzabi è mediatore culturale del «Centro Nanà – Cooperativa Dedalus» di Napoli, e allenatore della «Dedalus Soccer». Tunisino classe ’68, Azzabi ci racconta la sua esperienza prima come immigrato e poi come persona interessata alle vicissitudini dei migranti. Senza artifici stilistici, senza fronzoli. Ma in maniera sincera e coinvolta evidenzia come i diritti umani non esistano in realtà per gli immigrati, costretti ad avere un permesso (e non un diritto) di soggiorno che ben può essere negato, facendo perdere quel diritto alla libera circolazione tra i territori che pure formalmente appartiene agli uomini liberi. «Gli immigrati sono tenuti all’oscuro dei loro diritti ed ecco perché – sottolinea – non si può parlare di veri diritti, semmai di concessioni spesso casuali e discendenti dalla disponibilità di chi ne ha l’autorità in quel momento. Se l’immigrato non trova lavoro o lo perde, viene espulso; allora non può trattarsi di un diritto vero quello dell’immigrato a vivere dove vuole, essendo molto limitante e per di più anche oneroso economicamente, arrivando a pagare fino a 30 euro una semplice raccomandata per la richiesta del permesso di soggiorno».

Azzabi è arrivato in Italia da oltre trent’anni – dalla Tunisia – e vive da quasi un ventennio in Campania. Attraverso lo sport ha abbracciato la causa dei migranti giunti in Italia dopo di lui lavorando con abnegazione, perché lo sport favorisse l’integrazione tra migranti e minori non accompagnati. Al centro, dedicato all’indimenticata Annamaria Cirillo (insegnante, fondatrice e presidente dell’opera «Nomadi di Napoli», ndr), l’integrazione si fa soprattutto attraverso l’attività sportiva. Per questo è stata creata una squadra di calcio antirazzista (la Dedalus Soccer, ndr) per motivare e integrare i richiedenti asilo. «Nella struttura, – ci ha raccontato Azzabi – vivono tanti ragazzi in attesa di sapere se gli verrà riconosciuto lo status di rifugiato. Provengono da diversi paesi dell’Africa: Tunisia, Nigeria, Gambia, Senegal, Togo e Mali. Le storie dei richiedenti asilo, i loro racconti, spesso sono terribili e si intersecano con i nostri, arricchendoci e dando valore all’accoglienza. Tutti noi operatori delle strutture dell’entroterra investiamo il nostro tempo anche oltre il lavoro, consapevoli e orgogliosi di essere stati coinvolti da un’esperienza che aiuta a comunicare bene ciò che facciamo e a sfatare la paura del ‘diverso’». Il centro interculturale è un luogo di accoglienza ed incontro per migranti, minori, adulti, donne in difficoltà, famiglie italiane e straniere, dove è possibile divertirsi, ma anche essere ascoltati se si vivono momenti di difficoltà.

Partecipare anche ai tornei di calcio promossi nella città aiuta a far interagire gli ospiti più giovani delle strutture di accoglienza con il territorio, dando loro la possibilità di godere della gioventù attraverso un sano divertimento, nel rispetto reciproco. «Il calcio, – ha detto Azzabi al termine della chiacchierata – nel suo valore più alto ha il potere di abbattere le frontiere, accomunare tutti e non far differenze di nazionalità. Ed è la partita più importante, al di là del risultato sul campo. Ne siamo orgogliosi. Il calcio è uno sport per poveri che è stato rubato dai ricchi. Ormai c’è una separazione tra il calcio che si vede in tv e quello ‘provinciale’ che ha come unico fine il divertimento. I migranti non vogliono né pietà, né compassione. Vogliono solo essere trattati come esseri umani».

 

 




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