Il corpo e lo spirito. Jean-Luc Nancy e la Visitazione

Il filosofo francese legge un’opera del pittore Pontormo e riflette sui rapporti tra arte e cristianesimo, fino a toccare i temi di Dio e del suo destino nella cultura occidentale

È complicato parlare di questo breve libro (circa 50 pagine) sia perché l’autore, il filosofo francese Jean-Luc Nancy, non ti facilita la vita né per quello che tenta di pensare né per come lo esprime, sia perché la cosa stessa è difficile da comunicare senza per lo meno l’ausilio di immagini. Il saggio, infatti, intitolato “Visitazione (della pittura cristiana)”, è una colta riflessione sul dipinto della Visitazione di Jacopo da Pontormo (1528-30). Tuttavia non si tratta di storia dell’arte ma di una piccola e densissima meditazione – perciò non un trattato, ma un insieme ragionato di spunti - sull’arte cristiana in quanto tale, a partire dall’opera del Pontormo.

Perché proprio la scena evangelica della Visitazione? Perché «è un soggetto relativamente poco trattato rispetto all’Annunciazione di cui potrebbe essere il completamento naturale, per non parlare ovviamente della nascita e dell’infanzia di Gesù […] Nella Visitazione, il divino resta celato e cifrato, ed è proprio questa dissimulazione o questo ritiro, questa assenza a costituire la manifestazione stessa» (p. 53-54). Insomma, la Visitazione come caso particolare strategicamente scelto per trattare qualcosa di più generale. Ora, più che essere l’arte a rappresentare scene della narrazione cristiana è in verità il cristianesimo che, per primo, ha dato “corpo allo spirito” (l’Incarnazione del Logos) e facendolo, a parere di Nancy, secondo il modello della “presenza dell’assente”: la presenza reale del cristianesimo, come quella dell’arte, è la presenza che per eccellenza non è “presente”, che si manifesta sottraendosi alla presenza, cioè che si dà e si annuncia inseparabilmente in ciò che è presente ma che, insieme, non è propriamente quel che è presente.

Tutti questi motivi sono resi incomparabilmente bene, secondo Nancy, nella scena della Visitazione, nella quale sia il figlio di Maria che quello di Elisabetta, Gesù e Giovanni, non ci sono e pure è a loro che tutto fa segno. L’immagine, insomma, non rende visibile l’invisibile, come si è soliti pensare, ma mette in luce l’invisibile («Io ti vedo e non so ciò che vedo, poiché non vedo nulla di visibile», diceva Nicola Cusano nel De Visione Dei), lo scarto tra l’apparire di qualcosa e l’apparire di questo apparire, che deve per forza celarsi pur restando dinanzi ai nostri occhi per far-essere le cose che sono. Dum patet, latet. Se pensate che queste cose siano troppo astratte e inutili, pensate che tale discorso sfocia direttamente sul nostro modo di intendere la presenza di Dio, o eventualmente, la sua non esistenza, e la consistenza del mondo: «In un certo modo – dice infatti Nancy - un esserci dell’al di là forma il compendio del cristianesimo […] che apre al tempo stesso, in una formidabile ambivalenza, ciò che struttura la doppia possibilità del mondo a partire dall’Occidente: il nichilismo da un lato (quando il “qui” riassorbe l’al di là) e dall’altro l’eternità, se quest’ultima può essere compresa come l’al di là che viene ad aprire il qui, dandogli il suo esserci in questa stessa apertura» (p. 46). - Tanto per informarvi, per Nancy oltre il corpo non c’è nulla, la sua non è una metafisica ma semmai una iperfisica, ma su questo non voglio infliggervi altre sofferenze (su Google trovate il resto). - Legato a questo tema, è quello della critica alla “rappresentazione”, il modo tipico e un poco prepotente col quale per lo più pensiamo e giudichiamo, tentando di dominare le cose assorbendole nei nostri concetti (così facciamo pure con Dio talvolta), scordandoci che «Dio è una vera luce: chi deve vederlo, deve essere cieco, e deve tenere Dio fuori da ogni qualcosa» (Meister Eckhart). Abscondita editore. 13 euro. A Port’Alba a Napoli costa giusto la metà.

 

 

 




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