La poesia di Emily Dickinson. Un invito.

E' appena uscito in Italia il film sulla vita della grande poetessa americana. Una buona scusa per rileggerla.

Queste brevi righe non sono tanto la presentazione di un libro ma un invito. È uscito in questi giorni nei cinema italiani A Quiet Passion, film sulla vita della poetessa americana Emily Dickinson, che ha scritto alcuni dei più bei versi della storia moderna della letteratura. Il film giunge nel nostro paese a due anni dall’uscita in Inghilterra (nazione in cui è stato prodotto). Non l’ho ancora visto, e ho un po’ di timore che mi deluda, come può facilmente accadere con i biopic. Comunque sia, l’uscita della pellicola può essere un’ottima scusa per accostarsi alla poesia della Dickinson. Potete acquistare la raccolta Silenzi edita da Feltrinelli. Con circa 10 euro ve la cavate.

So bene che la poesia è circondata da pregiudizi devastanti e fondamentalmente insuperabili che la descrivono come inutile, astratta, bella come un soprammobile, buona per un corteggiamento degli anni ’50 tra studenti ipersensibili. Non mi metterò a dire “a che serve la poesia”, primo perché il mio modestissimo compito è richiamare la Dickinson; secondo perché, e forse susciterò l’irritazione di qualcuno e mi scuso, colui che chiede “a che serve” davanti a una poesia, se è coerente con se stesso, dovrà pure domandare dell’utilità dei fiori sulla tavola, delle carezze, del canto, della fedeltà dell’innamorato, degli addobbi natalizi etc.,  insomma inizierà a fare un sacco di domande proprio stupide. Abbiamo tutti provato nella vita  la frustrazione che deriva dalla sensazione che qualcosa al di là delle parole che sapevamo dire ci fosse, e che però non riuscivamo ad afferrarlo. “Ha nella pancia un poeta, riuscisse ad averlo sulla punta della lingua!”, ha scritto Elias Canetti. E spesso quel che non riusciamo ad afferrare è proprio la polpa dell’esistenza. La poesia è una protesi per l’essenziale, che è sempre gratuito, che non serve ad alcunché. E se ci siamo vergognati un po’ nella nostra vita, quando abbiamo provato a mettere in versi o a leggere in versi un amore non corrisposto, un lutto, o una gioia incomprimibile, ricordiamoci delle parole di Wislawa Szymborska: “Preferisco il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne”.

Emily Dickinson (1830-1886)  ha vissuto una vita solitaria, ribelle, ma di una ribellione così forte che è stata come un colpo di rinculo che l’ha proiettata nelle pieghe più commoventi dell’animo umano, senza l’ossessività di una Silvia Plath (altra grande poetessa statunitense morta suicida) e con una capacità – parere del tutto personale – di dare significato cosmico alle piccole cose quotidiane maggiore di Walt Withman. (Withman è il poeta citato al limite della sopportazione umana dal professore Keating nel film L’Attimo fuggente). Era una outsider, in anticipo sui suoi tempi, animata da passione politica vera (come molti dei suoi versi). La sua poesia è breve, rapida, mai circolare, mai ampollosa. Va subito al punto. Eppure è tutt’altro che pop, da fast food, anzi chiede di essere ruminata. Quasi 2000 sono le poesie trovate dalla sorella subito dopo la sua morte e pubblicate dopo la sua scomparsa.

Uno dei suoi componimenti più famosi.

 

Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi

Non avrò vissuto invano

Se potrò alleviare il Dolore di una Vita

O lenire una Pena

O aiutare un Pettirosso caduto

A rientrare nel suo nido

Non avrò vissuto invano.

 

E per concludere, uno dei suoi versi più belli, secondo me: magari qualcuno di voi potrà leggere le sue poesie e trovare il proprio verso.

 

Disegna per me un pettirosso - su un ramo -

così sognerò di sentirlo cantare

e quando nei frutteti cesserà il canto -

ch'io deponga l'illusione.

 

 




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