Sulla mia pelle

Perché vedere il film di Alessio Cremonini che racconta di Stefano Cucchi

 

Cosa succede quando il cinema porta sul grande schermo storie di vita o di morte che sono sempre più veritas che fictio?

La risposta sta nelle poche sale dove la pellicola è stata distribuita. Molti vanno al cinema nel fine settimana per distrarsi e rilassarsi. Sulla mia pelle è per tutto altro pubblico. È la drammaticità della vita ripresa da una telecamera e trasferita davanti ai nostri occhi e coscienze. Sulla nostra pelle proveremo sensazioni di inquietudine, ingiustizia, ansia, malessere. Scrivere di questo film, girato da Alessio Cremonini, interpretato da un sempre più sorprendente e camaleontico Alessandro Borghi che toglie il fiato per altri motivi rispetto a Napoli Velata e dedicato alla terrificante vicenda della morte di Stefano Cucchi, avvenuta nell'ottobre del 2009 in seguito all'arresto per possesso di droga, è particolarmente difficile, così come non è semplice vederlo.

È difficile perché è un film che fa male, malissimo a ogni inquadratura.

Bisognava girarlo per capire ancora di più che la vita è preziosa e va custodita fino alla fine. Bisogna vederlo per capire che la vita non è una favola dove tutti alla fine vivono felici e contenti e la bestia alla fine si trasforma in uomo. Al massimo l'uomo si trasforma in bestia. Nel film non ci sono colpi di scena, espedienti narrativi, colonne sonore strappalacrime, scene di violenza per denunciare qualcosa o qualcuno in particolare. Penso che l'idea e il messaggio del regista siano evidenziate nel prime quattro scene.

Dopo la prima scena della scoperta di Stefano senza vita, ecco i sette giorni prima di un ragazzo di 30 anni che sembra voler vivere: jogging, chiesa, palestra e famiglia. Il regista nei ciak successivi  non nasconderà nulla dietro a facili o colorate inquadrature, nello stesso modo non risparmia nulla alla realtà e riesce a inserire in 140 minuti di film tutte le sfumature della sofferenza di cui trasuda questa storia. Bisogna dirlo che Alessandro Borghi è l'interprete perfetto per incarnare nel bene e nel male la fragilità e il dolore del protagonista. 

Sia chiaro che il film non mostrerà mai scene di violenza o pestaggi sia perchè non è stato ancora del tutto dimostrato sia perchè non vuole essere un film della "passione" di Stefano.

In alcune inquadrature è verso lo spettatore può  sembrare di essere trasportato impersonificando la folla che assiste alla via crucis di un innocente o meglio di un essere umano che non meritava - ma quando la violenza è meritata? - tutta quella sofferenza e indifferenza. La storia di Stefano Cucchi, in Sulla mia pelleemerge e viene raccontata nei comportamenti al limite dell'autolesionismo di Stefano Cucchi, che per sfiducia, rabbia o paura copre davanti al giudice le colpe dei suoi aguzzini e rifiuta spesso di collaborare coi medici e di farsi curare; dal senso di colpa della madre, che a un certo punto confessa di aver sperato che una notte in carcere sarebbe servita al figlio che era seguito da una comunità di recupero; dal timore del padre di intervenire durante la prima udienza per pretendere che si chieda al figlio quali siano le cause reali dei lividi che lo segnano; e soprattutto nella solitudine di Stefano, in quelle celle che sembrano più luoghi di tortura che di detenzione e nelle sue richieste d'aiuto alla paura di possibili attacchi di epilessia di cui soffriva.

Il paradosso è che non fanno orrore i segni della violenza sul corpo esile, maltrattato e malnutrito di Stefano ma spaventa il curioso nascondersi di tutti dietro regole inviolabili, dietro sbarre e dietro a un abuso di potere che rende questa storia e questo film a tratti kafkiano dove il protagonista non protesta, non denuncia, non ci crede ma semplicemente muore. Un film scomodo e necessario per capire se vogliamo capire. Il totale del 2009 è di 172 decessi in carcere eppure l'art. 1 della legge 1975 recita:

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

 

 




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