Essere Caregivers in Campania: la storia di Bruno e Paolo

Il primo dei tre racconti dedicati al mondo dei cargiver pubblicati sul mensile di novembre di inDialogo

 

Riproponiamo una delle storie  pubblicate sul mensile di novembre di  inDalogo dedicato ai cargivers campani

 

Ho dovuto prendere Paolo dal letto e portarlo sul tappeto di gomma, dove sosta abitualmente durante il giorno». Così ci accoglie Bruno Cammarota, responsabile amministrativo provinciale delle Acli (Associzioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Napoli da sempre impegnato nella lotta per la tutela dei diritti dei disabili, ma soprattutto padre di Paolo, un ragazzo disabile.

Le sue parole tracciano un’idea di cosa significhi, a tutti gli effetti, essere un caregiver, ossia assistere e prendersi cura di un congiunto ammalato e/o disabile. E la storia di Paolo, nato con una grave forma di paralisi cerebrale, e della sua famiglia concretizza l’importanza della figura del caregiver.

Paolo, oggi quindicenne, ha avuto una grave asfissia prenatale e, in conseguenza di ciò, il suo cervello non ha avuto il tempo di maturare e di formarsi. Nei fatti, Paolo non parla, non cammina, non ha comprensione ed ha un modo di esprimersi e comunicare difficile da comprendere. «Quando ha qualche malanno, – spiega il padre Bruno – dobbiamo capire cos’ha. Nel 90% dei casi, si tratta di mal di pancia perché non evacua da solo. Bisogna nutrirlo, dargli i farmaci a orari prestabiliti, capire quando ha fame, quando ha sete. Anna, mia moglie, insegnava e, per dedicarsi a Paolo, ha lasciato la sua professione. Da qualche anno, con le sorelle che sono cresciute, la domenica riusciamo ad andare a vedere un film, a teatro e questo ci permette di assentarci due o tre ore».

A partire dai sei mesi di vita, Paolo ha iniziato una terapia riabilitativa per correggere i suoi problemi di spasticità. Ogni mattina, nei giorni feriali, una terapista lo aiuta ad irrobustire i muscoli dorsali. «Con l’ausilio di una statica e di un tutore, – aggiunge Bruno – riusciamo a dare forma all’ossatura del piede. Paolo poteva essere un tronco d’albero ma, grazie alle terapie, riesce a stare seduto. Tra le altre cose, ho bisogno di un’auto grande, che abbia, sul sedile posteriore, poltroncine con i braccioli, che riescono a contenere Paolo, così che non cada dal sediolino né avanti né indietro». Si tratta, insomma, di una vita completamente stravolta e totalmente al servizio del bisognoso.

«Si cambia da un giorno all’altro la propria esistenza. – argomenta Cammarota – Mentre, prima, i figli si adeguavano a te, ora, sei tu che ti devi adeguare a tuo figlio. Devi programmare tutto in base ai limiti che hai e rinunciare a tante cose per le sue esigenze».

Il tutto in attesa dell’attuazione, finora fantasma, di una legge regionale sui caregiver che, aggiunge Cammarota, «seppur approvata, non è stata mai attuata, non se ne è saputo più niente. Pur essendo parte integrante delle varie finanziarie, i fondi non sono stati destinati. Si tratta di una disparità di trattamento enorme ma soprattutto di ingiustizia sociale. Anche a livello nazionale, chiunque è andato al governo, nel corso degli anni, ha reso marginale la questione». L’intenzione di Cammarota è quella di promuovere un’altra interrogazione in Regione sulla tematica per capire «se sono stati stanziati i fondi e che fine hanno fatto, se sono stati erogati e a chi sono stati dati, come e in che modo». Nel portare avanti la sua battaglia, Cammarota non toglie però tempo a suo figlio. Non sono pochi i viaggi che fa per andare a controllo al Gemelli di Roma: «Ma non tutti possono permettersi di curarsi fuori regione ed evitare, tra tanti disservizi, le lunghe liste di attesa». (di Antonio Tortora)

 

 

 

 

 




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