Non si annuncia parlando alle stelle

L'ultimo contributo di don Ciro Biondi per la rubrica mensile di inDialogo, Il dono della Missione

 

Si celebra oggi (24 marzo giorno di pubblicazione del contributo, ndr) la 27° Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, a 38 anni dall’assassinio di monsignor Oscar Romero, proclamato santo lo scorso ottobre. La Giornata, nata nel 1993 per iniziativa del Movimento giovanile missionario, diventato oggi Missio Giovani, anima per la Chiesa italiana questo speciale evento di preghiera per ricordare tutti i testimoni del Vangelo uccisi ogni anno nel mondo.

Nel 2018 purtroppo sono quaranta (circa il doppio rispetto allo scorso anno) coloro che hanno donato la vita per il Vangelo.

Il tema scelto quest’anno, «Per amore del mio popolo non tacerò» (Is 62,1), è ispirato alla testimonianza di san Oscar Romero e vuole esprimere la piena consapevolezza che amare Cristo significa amare i fratelli, difenderne i diritti, assumerne le paure e le difficoltà, agire coerentemente alla propria fede. In quanto discepoli missionari del Vangelo, non possiamo tacere difronte al male, farlo significherebbe diventarne complici. Oggi è legittimo domandarsi in che modo sia possibile «dare voce a chi voce non ha», nell’ambito di una società in cui la sfera valoriale è spesso ignorata, profondamente segnata dall’esclusione sociale che penalizza una moltitudine di uomini e donne relegati nei bassifondi della Storia dall’intolleranza nei confronti di ogni genere di alterità. L’eredità di monsignor Oscar Romero ci illumina e ci propone un modo diverso, per certi versi «rivoluzionario», di vivere il messaggio evangelico nella realtà concreta. Egli infatti si espresse sempre con libertà e franchezza evangelica, affermando la «parresia», il coraggio di osare, la fusione tra Parola di Dio e vita del popolo come principale caratteristica del suo modo di attualizzare la Buona Notizia: «Non stiamo parlando alle stelle», amava ripetere.

Di fronte alla stanchezza e la rassegnazione, monsignor Romero offrì un messaggio in «otri nuovi», consapevole della posta in gioco.

In effetti, riflettendo sull’iniqua distribuzione dei beni, un po’ a tutte le latitudini, e più in generale sul mancato rispetto dei diritti umani fondamentali da parte di certi regimi, è evidente che la conoscenza, rappresenti una sfida a tutti gli effetti. Ecco perchè occorre rimboccarsi le maniche con umiltà e pazienza, coltivando, sempre e comunque, la speranza. Questa virtù è imprescindibile perché ogni crisi non è mai definitiva, come insegnavano gli antichi greci che utilizzavano il termine krisis per indicare una scelta da operare, una decisione da prendere, un passaggio deciso verso una condizione migliore. La posta in gioco è alta e dal punto di vista ecclesiale la testimonianza di monsignor Romero è rilevante. La lapide posta sulla sua tomba riporta fedelmente il suo servizio episcopale: «Sentire con la Chiesa».

Una Chiesa dei poveri che san Romero servì fedelmente ascoltandola come arcivescovo di San Salvador, sempre attento al grido del suo popolo. Come scrisse di lui il cardinale Martini, Romero è stato «un vescovo educato dal suo popolo».

 

 

 

 

 

 




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