Cristo fa delle sue piaghe la prova della sua presenza

A Brusciano la Giornata diocesana della Gioia dell'Ualsi. L'omelia del parroco don Salvatore Purcaro

 

Si è svolta ieri, presso la parrocchia San Sebastiano Martire di Brusciano, l'annuale Giornata diocesana della Gioia promossa dalla Fondazione Unione Amici di Lourdes e Santuari Italiani, nata come Associazione laicale di culto e religione nel 1967 grazie all'impegno di Federico Pepe e al suo desiderio di far nascere una rete di volontari che potesse essere presenza ecclesiale presso gli ammalati.  Un impegno che va avanti da più di mezzo secolo. Forte la presenza a Brusciano il 25 mattina. Toccanti le parole del parroco don Salvatore Purcaro durante l'omelia.

 

"Abbiamo desiderato ardentemente celebrare - ha esordito don Purcaro - questa Pasqua con voi, celebrare questo momento di festa con voi dell’ Ualsi, momento di lode e gratitudine al Signore che con la sua Pasqua fa fiorire il nostro cuore, apre la nostra vita. Ed è proprio a partire dalle letture che abbiamo ascoltato che voglio provare a dare qualche spunto di riflessione, perché la nostra vita possa fondarsi sulla solidità della Parola di Dio.

E mi soffermo sul passo degli Atti degli Apostoli che vede Pietro e Giovanni salire al Tempio e incontrare uno storpio che attende l’elemosina: una persona che simbolicamente potremmo dire si trova all’esterno della relazione con Dio e con gli altri, che pensa che l’unica cosa che può fare è elemosinare la vita. Pietro e Giovanni stanno salendo al Tempio e lui, lo storpio, li guarda perché l’unica cosa che sa fare è guardare per poi chiedere. Ma Pietro e Giovanni colgono il suo sguardo e Pietro gli dice “non ho oro né argento, ma tutto quello che ho te lo do. Nel nome di Gesù Cristo, alzati e cammina”. Pietro e Giovanni danno dignità a quest’uomo, gli danno una nuova esistenza. E a questo punto iniziano i guai, diremmo noi oggi. Per lo storpio, che dovrà spiegare come ha fatto a guarire. E iniziano i guai per gli apostoli, che il racconto degli Atti ci presenterà impegnati a difendersi da numerose accuse. Ma prima dei guai accade una cosa stupenda.

Leggiamo che lo storpio “li tratteneva”, tratteneva Pietro e Giovanni, coloro che gli avevano fatto del bene.

Come capita anche a noi, che ci attacchiamo a chi ci fa del bene. E i due apostoli restano lì e lo custodiscono. Come? Annunciando la verità della Chiesa. E dicono: “Voi pensate che è per nostro merito che quest’uomo sia guarito? Voi pensate che è per la nostra religiosità che quest’uomo sta in piedi qui davanti a voi? E qui emerge l’unica ricchezza che ha la Chiesa, la comunità Cristiana: Pietro e Giovanni danno a quello storpio la possibilità di stare in piedi di sentirsi uomo. L’uomo si attacca a questa comunità, a Pietro e Giovanni, alla Chiesa che gli ha dato in Gesù Cristo la possibilità di rialzarsi e camminare.

Come non possiamo ringraziare la comunità cristiana, la Chiesa, rappresentata oggi qui dall’Ualsi, che in un momento in cui non sono garantiti i diritti per i più deboli, continua a dare dignità nel dolore, a mettere al centro dell’assemblea i deboli, gli ammalati, i sofferenti? 

La Chiesa mette al centro Gesù Cristo, che non vuole dire “dare un po’ di religione”, non vuol dire inviare a “sopportare il dolore attraverso il rosario”. La Chiesa non ci dà un po’ di “morfina al dolore”. La Chiesa ci dona un incontro con una persona viva.

Non ci dona un fantasma: la religione crea fantasmi da incensare, mentre l’esperienza di fede alla quale la Chiesa ci invita, ci dà in Gesù Cristo il volto di Dio: se Cristo fosse un fantasma non ci potremmo appoggiare a lui e non ci reggerebbe nel momento della sofferenza. Chi ci assiste non può essere debole. Cristo non è debole. Cristo non è un ologramma della presenza di Dio. La vera fede, quella della Chiesa, quella di Pietro e Giovanni, dei discepoli di Emmaus, è Cristo, Cristo vivo.

Ma come si presenta questo Cristo vivo, come fa capire che non è un fantasma? Noi ci aspetteremmo dicesse una frase come quella che diciamo noi per dimostrare la nostra forza: guarda i miei muscoli. Noi mostriamo i muscoli. Pensiamo che la forza di peso, di muscoli tesi. Eppure, Gesù si presenta ai discepoli mostrando le sue ferite, presenta di lui la ‘parte più scassata’: Lui ci dice che la sua vera forza è nella debolezza. Gesù ci dice che conosce le nostre ferite. Isaia ci dice che Dio ci ha iscritti nel palmo della mano: è nelle piaghe di Cristo che Dio ha scritto il nostro nome. Siamo nelle piaghe di Cristo, nel cuore di Dio. Non dobbiamo nascondere le nostre piaghe: forte è colui che è riconciliato con le proprie ferite.

Cristo fa delle sue piaghe la prova della sua presenza.

Impariamo a ringraziare il Signore anche per le nostre ferite, le nostre disabilità, per le nostre mancanze perché se il Signore le ha scelte, vuol dire che sono qualcosa di importante. La fede ci dice che siamo “Poco meno di un dio”, ci manca poco per essere come Dio. Mentre la scienza ci vuol far credere che siamo l’evoluzione più o meno riuscita di una scimmia. I salmi ci dicono che siamo “poco meno di un dio”. Ma questo lo dicono i Salmi. Con il battesimo, noi siamo diventati Dio, siamo stati deificati, l’esperienza di Dio è stata trasfusa nella nostra stessa vita. Quel ‘poco meno di un dio’ è stato completato da Gesù Cristo, che ci ha resi dei, siamo come lui, vicini a lui, siamo parte della sua grandezza.

Il Signore ci aiuti a raddoppiare la gioia, gioia che è attaccarci alla Chiesa, l’unica che ci dona come tesoro Gesù Cristo, sul quale ci possiamo appoggiarci per avere la forza per non nascondere le nostre piaghe ma viverle come prova del nostro essere grandi come Dio".

 

L'Ualsi porta avanti il progetto del Villaggio della Fratellanza

 

 

 

 

 

 




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