I giovani dopo l'estate, né forti né superficiali

Il contributo di don Umberto guerriero, direttore della Pastorale giovanile diocesana, sul numero di inDialogo dello scorso settembre


Con più un’estate con maschera, pinne e olio abbronzante, ma con mascherina e igienizzante. Ormai volge al termine quest’insolito periodo vacanziero, entrato ormai nella storia a causa del covid. È stata un’estate importante, perché abbiamo imparato ancora di più cosa significhi la precarietà e la fragilità del nostro corpo. Nel periodo della rigida quarantena, siamo stati bombardati dai media, quasi illusi, che il virus colpisse la maggior parte degli anziani, diventando letale per chi aveva qualche malattia pregressa; nel contempo sembrava che i giovani e i bambini avessero già la capacità di sfuggire alle grinfie della pandemia, proprio perché i dati sembravano dire questo: la maggior parte dei contagiati erano anziani.

Passati questi mesi estivi, la tendenza è notevolmente cambiata e l’età media dei contagi si è vertiginosamente abbassata, creando un po’ di scompiglio nel mondo giovanile, quasi interdetto vista la situazione. Nonostante le avvisaglie che arrivavano dai rientri, molti comunque hanno deciso di partire e di divertirsi (giustamente) promettendo a se stessi e ai familiari di essere attenti ad utilizzare gli strumenti di protezione individuale, ma in realtà non è stata così. Cosa può aver imparato un giovane dalla seconda ondata dei contagi?

1. Giovane non significa forte. L’illusione più grande è stata la prospettiva dell’età come scudo al contagio: in realtà il nostro corpo è sempre e comunque fragile, anche in un’età in cui ci si sente di essere al massimo della forza e della salute. Il contagio ha svuotato la certezza del giovane come immune da covid e ha registrato l’incapacità di molti di fidarsi del commento scientifico piuttosto che sbirciare dai link apparsi sui social di tante fake news. Ma il contagio ha anche consentito a molti giovani di comprendere ancor di più cosa significhi avere attenzione verso i più anziani e i più deboli, sentendoli più vicini a loro perché accumunati da un virus che non controlla l’età anagrafica prima di occupare un corpo.

2. Giovane non po’ essere sinonimo di irresponsabile. Si è soliti pensare all’età giovanile come ad un tempo di spensieratezza, in cui si può arrivare fisicamente anche all’estremo, dove un po’ il mondo gira intorno alla propria persona, dove il protagonista della vita è il giovane. Tant’è vero che, in compagnia di altri coetanei, molti giovani non hanno indossato mascherina né hanno rispettato la distanza, quasi come ribellione agli schemi precostituiti dalle autorità, seppur decisi per tutelare la salute di tutti, di ogni singolo cittadino. La difficoltà più grande è
saper riconoscere l’attenzione all’altro, perché tutti siamo chiamati in questo tempo ad un senso di responsabilità nei confronti di coloro che hanno debolezze fisiche e potrebbero maggiormente essere contagiati. È passato il solito schema precostituito del giovane irresponsabile; in realtà tantissimi altri sono stati attenti e sensibili e hanno perfino vissuto vacanze alternative, riuscendo a coniugare riposo e responsabilità. La fede, che è motivazione delle scelte di un credente, è determinante anche nelle decisioni di un giovane. Egli può scegliere di seguire il ‘gregge’ e sentirsi parte di un’azione anticonvenzionale oppure si distacca e prende le distanze dalle azioni irresponsabili, diventando in quel caso il vero alternativo del gruppo, perché capace di scegliere la cosa giusta da fare, con maturità e libertà di cuore. La gioventù non è un virus da studiare, ma una fase della vita da accompagnare!





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