La breve riflessione di don Pino De Stefano per questo numero di inDialogo, dedicata all’importanza delle parole per la comprensione della realtà, offre lo spunto per questo editoriale, alla luce di un fatto e un dato. Il fatto è la condanna del neomelodico Nello Liberti, all’anagrafe Aniello Imperato, a un anno e quattro mesi per il reato di istigazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso, avendo riconosciuto i giudici nel testo della canzone e nel videoclip ad esso ispirato un invito ad affiliarsi al clan Birra: l’affiliazione è presentata come possibilità di svolta nella propria vita, di emancipazione, di uscita dalla povertà. Il dato è invece relativo all’aumento degli scoraggiati tra i disoccupati inattivi messo in evidenza dall’ultimo Rapporto del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. La canzone di Liberti, intitolata o’capoclan risale al 2003. Una distanza di diciassette anni la separa dal Rapporto, da questa crisi in atto, sociale ed economica, che vede il Mezzogiorno ancora caratterizzato da una asfissiante mancanza di lavoro e di reale possibilità di esercizio del diritto allo studio: una condizione che genera scoraggiamento e rende, soprattutto i giovani, facili prede di messaggi così apparentemente salvifici. Ed infatti il capoclan della canzone non esita a porsi sullo stesso piano di Dio: e nei momenti disperati, dove la necessità diventa la bussola per un cuore, le parole «di» salvezza sono quelle che a quella necessità danno immediata risposta. Non importa se il prezzo da pagare è la vita stessa. Ma non si può lasciare alle mafie l’annuncio della salvezza, della speranza. Non può farlo la Chiesa ma non può farlo una società che si voglia definire umana: la salvezza che Cristo ha portato passa per la salvezza della carne di ogni singolo essere umano; non può esserci annuncio di speranza e salvezza se giriamo gli occhi all’umanità fragile, se non accogliamo, tutti, l’invito che il Papa - con il Messaggio per l’odierna Giornata per le comunicazioni sociali - ha rivolto agli operatori della comunicazione, a lavorare per la verità della vita, dei singoli e dell’umanità, comunicando con le persone incontrandole, accogliendone le necessità e restituendo loro le possibilità insite in quella realtà che sembra al momento governata solo da ombre. Ognuno, nel proprio, consumi le scarpe per «andare e vedere» e per raccontare e costruire un mondo giusto, quello disegnato con parole «limpide e oneste» e non «eloquentemente vuote».