San Felice indica la via dell'unità

Il racconto della festa del presbitero Felice, santo patrono di Pomigliano d'Arco, vissuta dalla comunità parrocchiale a lui intitolata

a cura di Tina Esposito

responsabile arte e cultura e referente Sovvenire
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resso la parrocchia San Felice in Pincis di Pomigliano d'Arco

La festa di San Felice in Pincis, santo patrono di Pomigliano d’Arco, quest’anno si è svolta nel clima particolarmente avverso della pandemia, che ci ha colpiti tutti e che ha reso difficile lo svolgimento in presenza delle tante attività, solitamente collegate ai dieci giorni di preghiera che componevano il periodo dedicato alla celebrazione del santo prete di Cimitile. Ma durante l’Avvento, grazie alla solidarietà e al clima di coesione creatosi in parrocchia ecco arrivare un’intuizione, una vera illuminazione! Le proposte del parroco don Peppino Gambardella e del parroco don Mimmo Iervolino, insieme a tutti i gruppi parrocchiali - liturgia, catechisti, coro, solidarietà, cultura, informatica - hanno regalato un programma di iniziative nel segno dell’unità e della condivisione.

Lo slogan, suggerito da don Peppino, è stato ispirato dall’ultima Enciclica di Papa Francesco e dalla condizione di rischio per la salute collettiva, dalla precarietà e dalla difficoltà economica, sociale e spirituale che viviamo: Tutti fratelli: ci salveremo solo insieme!. Gli operatori parrocchiali uniti hanno accolto con gioia il tema, lo hanno vissuto e sviluppato nelle attività liturgiche, con le celebrazioni in presenza e con i momenti di preghiera online, grazie alle piattaforme social della parrocchia. Le tante famiglie di questa comunità si sono unite anche se a distanza, in particolare nei momenti dello spirito, con i rosari in famiglia, la diffusione dell’inno di San Felice grazie a un video realizzato dal piccolo coro parrocchiale, con l’intento di rendere questo canto, così caro alla tradizione pomiglianese, ancora attuale, rinnovato per le generazioni più giovani. Allo stesso modo la vita del Santo è stata raccontata ai ragazzi della scuola elementare e media da don Peppino grazie alla piattaforma social Zoom. Così anche l’Adorazione Eucaristica è stata realizzata sia in presenza sia on-line. Momenti importanti di unione con le famiglie sono stati organizzati anche per l’arte, la cultura e la solidarietà, che a differenza degli altri anni si sono svolti a distanza: il gruppo cresima ha realizzato il video La chiesa te la spiego così, una visita virtuale della chiesa, della congrega e delle sue preziose opere d’arte grazie alla narrazione dei ragazzi della cresima; il gruppo catechistico ha invece costruito il video San Felice te lo racconto io, in cui i bambini del catechismo hanno letto una riduzione della vita di San Felice e dei suoi miracoli e hanno realizzato tanti disegni ispirati alla spiritualità e alle scelte di vocazione del santo patrono.

L’aspetto solidale della festa, che viveva di tante iniziative rivolte agli assistiti della Caritas parrocchiale e alle persone in difficoltà della città, e culminava con il pranzo comunitario, quest’anno è stato sostituito da una “card sospesa”, ovvero un buono spesa da donare alle famiglie, ed è culminato nella comunione spirituale vissuta con i sacerdoti che hanno benedetto le mense di tante famiglie grazie ad un collegamento on-line per il pranzo del 14 gennaio.

Il giorno della Solennità di San Felice, quest’anno è stato privato della processione del mattino lungo le strade cittadine, ma per consentire a tutti i devoti pomiglianesi di vivere la vicinanza con il Santo, è stata aggiunta una messa. Il momento cruciale di questo periodo di preghiera è arrivato durante la messa solenne del mattino del 14 gennaio, in una chiesa gremita di fedeli e di autorità, seppure nel rispetto delle distanze imposte dalle misure di prevenzione anti-covid, quando don Peppino ha guidato la preghiera e ha esposto all’assemblea un’omelia intensa di contenuti umani, di proposte spirituali, ricca di riflessioni e spunti, sui temi di unità, condivisione e attenzione alla povertà.

In questo anno di pandemia i più deboli, i bisognosi e gli esclusi hanno in maniera crescente affollato la sagrestia della parrocchia con richieste di aiuto e di sostegno sempre più dolorose. È stata una marea in lenta ma costante crescita, che ha imposto un momento di riflessione molto serio sia nei parroci sia nella comunità. Don Peppino si è fatto portavoce dei dimenticati, degli invisibili, partendo dall’ispirazione alla vita del santo patrono, alla sua semplicità nell’essere servo amico solidale con i poveri e nel suo essere tutt’uno con la sua comunità cittadina. Diversi punti hanno caratterizzato la riflessione del parroco, ciascuno è stato allo stesso tempo un monito, una preghiera, una carezza per l’anima, il grido degli abbandonati consegnato con la delicatezza di un sussurro all’orecchio dei presenti che possono ascoltare, sostenere, aiutare, e delle autorità che devono interessarsi al disagio sociale, ormai elemento disgregante della società, un cancro inarrestabile in un momento di crisi sanitaria ed economica così profonda e globale.

Dopo aver salutato i presenti, pregato per i defunti contagiati da questo terribile virus e per la salvezza dall’infezione invocando l’intercessione di San Felice in questa dura prova stiamo vivendo, don Peppino entra nel vivo della riflessione indicando Felice come il faro della vita, mediatore di Grazia. Il santo dovrebbe essere per tutti noi quello che fu per San Paolino di Nola, ovvero il suo patrono, colui che lo ha convertito al cristianesimo e al cammino ascetico. Il nostro santo dovrebbe essere modello di vita. Continua don Peppino: «Oggi è grave la situazione di salute fisica, spirituale e sociale, con una disoccupazione crescente, la crisi del commercio e l’aumento esponenziale della povertà. Ai vecchi poveri sono sopraggiunti i nuovi, persone che si sono all’improvviso trovate senza lavoro, uomini e donne che fino a questo anno mai avrebbero pensato di rimanere senza i mezzi necessari al sostentamento. Ora non possono mettere il piatto a tavola». Il nostro sacerdote si domanda allora cosa può insegnarci il Santo in questa situazione? Amore e condivisione. San Paolino di Nola, quando invoca san Felice dice: “Tu vuoi che abitiamo a te uniti, tu perfetto secondo l’immagine di Cristo Signore, uomo fatto povero da ricco che eri”. Entrando nel vivo della riflessione ci dice: «Imitare Felice nella povertà è imitare Cristo stesso, che arricchisce di un tesoro celeste coloro che spoglia delle ricchezze. Paolino prende l’esempio di san Felice e ci invita alla pastorale della condivisione. Egli costruisce a Nola un monastero e al pian terreno sistema l’ospizio dei poveri poiché dice che sono le fondamenta della sua casa. Così nello scambio di aiuti materiali e assistenza spirituale la Chiesa dei cristiani non può che essere povera, “dei poveri” e “con” i poveri. La vera via di Cristo che è la via dell’amore che si contrappone alla via dell’egoismo, della ricchezza senza solidarietà, dell’individualismo, dell’esclusione dei deboli e dei poveri. Sarà invece l’amore per i poveri, gli ultimi a salvarci perché essi sono nostri fratelli ed i prediletti di Dio. Dobbiamo cercare l’amore fraterno e la condivisione avendo come obbiettivo il raggiungimento di una società fraterna. Papa Francesco ci ha detto in “Fratelli tutti” che solo se tutti uniti ci salveremo».

A questo proposito don Peppino rivolge un breve pensiero alla comunità cittadina. Si domanda cosa può dire il Santo alla nostra città. Continua: «Ci troviamo in un contesto amministrativo nuovo dopo le elezioni ultime con un tessuto sociale ancora diviso e contrapposto che esige da parte di tutti sforzi di comprensione ed unità. Abbiamo voluto scegliere come motto di questa festa proprio le parole di Papa Francesco: “Solo uniti ci salveremo”. Quindi “Tutti fratelli, ci salveremo solo insieme”. Il Santo ci chiede di operare in modo da fare crescere democrazia e fraternità per avviarci verso una città più giusta e più fraterna». A questo proposito il parroco sceglie due passaggi della vita di San Felice: la condanna al carcere con il sequestro dei beni ed il ritiro dalla vita apostolica attiva nel suo orticello da agricoltore. «Il santo infatti colpito nei suoi diritti civili non si ribella ed accetta le pene conseguenti. Le leggi dello stato vanno rispettate anche quando possono ledere beni personali. Questa è una lezione di vita che vale anche per noi. Dobbiamo tutti riconoscere il grande valore del bene comune che supera quello individuale». Infatti San Felice accetta la confisca dei suoi beni e rinuncia alla richiesta di reintegro poiché aveva scelto per se stesso la via della povertà e del sostegno ai più poveri. È cosciente che il bene comune si costruisce con la rinuncia al bene privato a beneficio del bene collettivo. Questo dev’essere primario nell’agire dei cittadini credenti: viene prima il bene della collettività e poi il benessere individuale. Ci ricorda don Peppino del ritiro di Felice nel suo campicello, dove visse fino alla vecchiaia coltivando e dividendo i frutti ogni giorno con i più poveri. Ecco questo esempio ci insegna a vivere in modo dignitoso e frugale, imparando a bastare a noi stessi con il lavoro, a non cercare di accumulare ricchezze ad ogni costo, ma ad esercitarsi a condividere. «Se volessimo stabilire un motto diremmo: mangiare poco mangiare tutti!». Felice agricoltore è tanto vicino alla cultura rurale dei nostri avi, solidale, sobria, umile, accogliente, dignitosa.

«L’esempio di Felice nella sequela di Cristo nella povertà, non si esaurisce nell’esperienza individuale, ma ci porta ad “abitare con i poveri e gli oppressi”, a condividere con loro percorsi che arricchiscono la nostra umanità. Al contrario l’ingordigia è l’origine della infelicità e purtroppo dell’illegalità ed anche di azioni criminali, episodi di violenza e illegalità accaduti anche ultimamente. Felice ci vuole poveri di ricchezze per arricchirci della vita dello Spirito. Lo scambio dei beni nell’amicizia evangelica, lo scambio della carità grazie al quale i poveri rafforzano le fondamenta della fraternità nella Chiesa e nella società, lo scambio spirituale ci fa vivere una comune esperienza di unità in Cristo che è la Chiesa. La Chiesa corpo di Cristo si edifica sulla carità». La conclusione dell’omelia e di tutta l’esperienza dei giorni della festa sta nel valore dell’unità. Questa è la grande proposta del nostro santo. L’unità nell’intimo delle persone, nelle famiglie, nelle istituzioni e nella città. «Uniti si persegue il bene comune nella concordia e si affrontano i gravi problemi della crisi generale che è piombata su di noi. La comunione, la gioia di comunicare, ci fanno sentire anche da lontano uniti nella fede, una comunità che si costruisce con il dialogo, il servizio agli altri, la cura e l’attenzione verso tutti, l’esperienza di fede, il vissuto concreto di unità, la condivisione delle difficoltà e anche del dolore con gli altri. Come san Felice dobbiamo sentire la fraternità in Cristo che si è fatto servo dei suoi discepoli».

L’invito a tutti di don Peppino è chiaro. «L’incontro con san Felice non può limitarsi ai segni di devozione, ma va vissuto nell’orizzonte della comunione con il santo». Il parroco individua chiaramente l’orizzonte nuovo tracciato dalla fede: «L’unità nella Chiesa è un’esperienza possibile, la via ce la indica proprio il nostro San Felice. Egli deve rappresentare per noi la “casa”, i nuovi legami familiari, il modello per noi peccatori così che la nostra comunità diventi quella “comunità di santi”. Tutti fratelli: ci salveremo solo insieme!».




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