Il Sud ha voglia di sentirsi italiano

I direttori di sette giornali diocesani meridionali scrivono di Mezzogiorno, crisi pandemica e “cura Draghi”.


da inDialogo, dorso di Avvenire del 28 febbraio 2021

Il Mezzogiorno serve il Paese, il Mezzogiorno serve al Paese. Potrebbe essere riassunto così il contributo dei sette direttori meridionali, di testate diocesane meridionali, tutte iscritte alla Federazione italiana dei settimanali cattolici che «inDialogo» ospita. Parole secche, senza fronzoli le loro. Prospettive lucide e ampie, dai loro diversi punti di veduta sull'intera nazione. Ma soprattutto un unico e forte, nella sua intelligente «educazione dialettica», invito ai meridionali stessi a riconoscersi italiani e a chiedere di essere considerati come tali. Le terre del Sud hanno dato e danno, soprattutto in termini umani, perdendo giovani- e ora anche gli anziani che mirano a ricongiungersi con i figli lontani - e ambientali, fungendo da discarica per molti territori del Nord. Ma ha dato soprattutto in termini di coscienza, sempre e troppo messa sotto torchio da un ambiente sociale tutt'altro che favorevole all'esercizio della libertà, finendo con l'accontentarsi di politiche di 'falsa sussidiarietà' e di promesse fallaci di sviluppo. E così poi per tanti, troppi giovani, 'sparare' è divenuto più semplice che 'pensare', perché poi, in fin dei conti, se Cutolo è riuscito a mettere su un regno, stando una vita dietro le sbarre, il carcere sarà sembrata ben poca cosa rispetto alla povertà e all'anonimato. "Sparare=Pensare": Cutolo ha vissuto così. E lui si è reso schiavo, e schiavo è chi è ancora come lui. Ma senza scuola, come si può pensare di riscoprire al Sud quel nostro "meridiano pensiero" citato dal direttore del pugliese Sentieri, e perché mai impegnarsi a pensare se lo sguardo intorno restituisce le tante promesse disattese di sviluppo e rinascita: nelle opere pubbliche incompiute, nello scempio del paesaggio, nella bruttura e dell'isolamento delle periferie, nei cumuli di spazzatura disseminati come fossero chicchi di grano, nella sanità non a misura d'uomo, nella diffusa corruzione come ci ricordano i direttori de «L'Avvenire di Calabria», del sardo «Sulcis Iglesiente Oggi», dell'acerrano «La Roccia». La chiave è forse nel forte senso di comunità che caratterizza i meridionali anche quando sono altrove, la chiave è forse proprio in quei giovani che 'salgono e scendono' perché se il lavoro è necessario per vivere, l'aria delle proprie origini è necessaria per sognare come ricorda la direttrice del casertano «Clarus» e come ricordano i segni di bene raccontanti nella fascia alta di queste due pagine. Nei sogni delle nuove generazioni di meridionali migranti non c'è però solo il Sud, ma c'è il Paese intero, perché spostandosi l'hanno respirato e anche 'servito'. La chiave è in quei giovani, in quella 'next generation' di cui tutti parlano ma che poco sembra pesare: i loro curriculum di successo al Nord, e anche all'estero, dicono che il Sud ha dato e dà, nonostante tutto, nonostante quelle ingannatrici apparenze da cui esso stesso si lascia ammaliare, come sottolinea il direttore del nocerino «Insieme». Questi giovani dicono già con le loro vite che c'è un Sud che è Italia, e che se si pone su di esso uno sguardo nazionale, senza mortificarne le specificità, come scrive il direttore del napoletano «Nuova Stagione», si aiuterà a far fiorire i giovani ancora in ombra.

Il "pensare" meridiano può cambiare il Paese
di Piergiorgio Aquilino, direttore«Sentieri», diocesi Lucera-Troia
È ormai trascorso il primo anno d'emergenza e da questa pandemia non ne verremo fuori come prima: ne usciremo migliorati o peggiorati. Ce lo stanno ripetendo tutti, insistentemente e in salse differenti. Non si tornerà indietro, nulla sarà più come prima. A livello ecclesiale, sociale o, semplicemente, individuale. La paura ci sta facendo allontanare da tutto e da tutti, portandoci a vivere le nostre singole identità in una società che non è più società, poiché amorfa. Contro ogni nostro più innato istinto di esseri sociali, ci stiamo accorgendo che nessuno appartiene più a nessuno, poiché temiamo anche un caloroso saluto o diffidiamo di un semplice accostarsi ad un amico. Viviamo, da Nord a Sud, nel sospetto che l'altro-da-me, col suo stare nella nostra vita, possa nuocere alla nostra salute. In questi ultimi giorni, vuoi per l'aria che si sta respirando a livello locale, vuoi per gli accadimenti a livello nazionale, di cui faremmo sicuramente a meno, siamo costretti a riconsiderare sempre lo stesso tasto dolente: una nota stonata, di fronte alla quale, anziché effettuare un'operazione di recupero, ci siamo lasciati andare, abituando l'orecchio a sentirla come accordata, fino a percepirla come normalità. Lo scenario politico che si è scandagliato, giorno per giorno, in quest'ultimo mese, tra veti imposti e voto auspicato, ci ha ricordato quanto siamo governati da una partitica composta da pseudopolitici spesso incompetenti. Eppure, il bene comune non ha un colore partitico: ha le sue radici in una Notizia che non ci vuole spingere né a destra né a sinistra, né a Nord né a Sud; ci chiede solo di seguire la via della carità. Siamo in preda di coscienze 'impazzite ed impazzate', alla ricerca di giustificazioni ai propri consensi personali. E, intanto, gli ospedali brulicano di gente anonima, vittime immolate in una società che, ormai, li considera solo numeri. E, intanto, le scuole hanno perso la propria credibilità e la specifica sfida educativa, pronte solamente a rispondere al diktat di turno: ora aperte, ora chiuse. E, intanto, la società va… mentre si disamora dai veri valori. È giunto il tempo di reagire. In questi giorni, in Puglia, ci ha lasciato il padre del pensiero meridiano, Franco Cassano. Dalla sua lezione, possiamo imparare a 'modernizzare' la visione dell'Italia attuale. Non è utopia: il Meridione ha davvero tante qualità da poter mettere in campo, con donne e uomini corresponsabili pronti a sposare la necessità di una riqualificazione etica della vita sociale e po- litica italiana. Quale futuro ci attenderà? Non è utopia. Potrebbe essere proprio il nostro Mezzogiorno a prendere la sfida di petto per scrivere, hic et nunc, la svolta decisiva del Paese, prima che sia troppo tardi: dopo questo tempo, nulla sarà più come prima.
Necessarie opere pubbliche pensate in rete, lotta a mafie e corruzione, sanità adeguata
di Davide Imeneo, direttore «L'Avvenire di Calabria», diocesi Reggio Calabria

L'orizzonte si fa chiaro, ma mai abbastanza per far apparire il giorno: come l'inverno in Islanda…si passa da una notte profonda a una sera che ha i colori del tramonto o dell'alba. Ma il sole non si vede. Chi vive nel Meridione ha maturato l'abitudine al declino, ad una notte costante con svariate gradazioni di nero, che si ripercuote drammaticamente in un vuoto di speranza. Il fatto più inquietante che conferma questo trend non è più soltanto quello della fuga dei cervelli, ma quello delle partenze degli adulti: sempre più over 60 lasciano il Sud per ricongiungersi con i figli trasferiti al Nord, la pensione diventa l'occasione buona per riallacciare affetti allentati, dedicarsi ai nipoti, riunire la famiglia insomma. Gli psicologi la chiamano 'sindrome del nido vuoto' ed è conseguenza della partenza dei figli. È il conto salatissimo presentato dalla storia anche al Mezzogiorno, che dopo aver perso la ricchezza dei talenti con la fuga dei neolaureati, adesso è privata anche del valore sociale ed esperienziale degli adulti-anziani, nonché dei loro redditi, che contribuiranno ad alimentare altre economie, causando un'ulteriore decrescita economica per il Sud Italia. Nella fase più acuta della pandemia, questo esodo ha conosciuto una controtendenza: molti giovani lavoratori sono tornati al Sud perché in Smart working…ma cosa accadrà nei prossimi mesi, quando gli effetti della crisi si ripercuoteranno sulle già disastrate attività economico produttive del Mezzogiorno? L'orizzonte torna a farsi buio, perché, se anche i soldi del Recovery dovessero tramutarsi in cantieri, gli investimenti sarebbero comunque appesantiti dalla presenza delle mafie. Sappiamo fin troppo bene che senza legalità non potrà mai esserci sviluppo. Dunque, il post pandemia sarà cruciale per il Sud Italia: un doppio investimento dovrà caratterizzare l'agire politico-istituzionale. Prima di tutto una estenuante lotta alle mafie e alla corruzione, poi la cantierizzazione di opere pubbliche pensate in rete, cioè progettate non solo per rilanciare un'area, ma per infrastrutturare tutto il Mezzogiorno e rendere più veloce il trasferimento di merci e persone. Il prezzo della pandemia si farà sentire anche in termini sociali. Il Welfare State non può continuare ad esistere soltanto da Roma in su. Anche i meridionali pagano le tasse ed hanno diritto ad uno Stato amico dei fragili e dei deboli, che garantisca pure livelli di cura adeguati: la migrazione sanitaria è quanto di più antiunitario possa esistere. Ma l'orizzonte si fa chiaro… un mutato atteggiamento dell'Europa, le competenze del governo Draghi… riusciranno i nostri eroi a fermare lo spopolamento del Sud? Difficile prevederlo…però, intanto, chi è 'rimasto' dia più del 100% per far ripartire la propria città, la propria regione.

È il tempo di investire per le terre di frontiera
di Giampaolo Atzei, direttore «Sulcis Iglesiente Oggi», diocesi di Iglesias

Un anno volato come un soffio. Il tempo della pandemia, del virus che non molla la presa, dell'isolamento. Già non è facile vivere in una terra dove la vita è una rincorsa, per il lavoro, per i trasporti, per la dignità: in un'isola, dove questi problemi si amplificano, tutto pare ancora più complesso ed il segno più profondo che ci lascia questo tempo di emergenza è quello della distanza. Ci sentiamo più lontani ma non è una sola distanza fisica, è una forbice che si divarica, la percezione che qualcosa ci sia sfuggito di nascosto. All'inizio, nella prima paura del contagio è sembrato che la distanza potesse proteggere, che il mare che ci circonda ci avrebbe fatto scudo ma non è stato così, anzi, da vittima a untore il passo si è fatto breve. Intanto, il peso della distanza cresceva, sempre più grave, tra chi continuava a lavorare e chi era costretto a tirare giù la serranda: soffocata l'economia del turismo, ancora di salvezza per molte famiglie, è scesa la notte. E quella notte ancora non è passata, allontanando quanti conservano la speranza e chi fatica a conservarla. #andràtuttobene ci dicevamo e i bambini appendevano le lenzuola colorate d'arcobaleno alle finestre. Sotto casa mia c'è ancora uno di quei teli di illusione, ridotto ad un cencio lacero e incolore. In una regione spopolata dove l'unica connessione internet è sovente solo quella sullo smartphone, nell'esperienza dei bambini e dei ragazzi si è scavato il fosso della didattica in clausura, scoprendo che la sconnessione dalla realtà è prima di tutto fisica, una rete che non c'è, una cultura digitale che non si può scoprire e imparare nella lunga notte senza luna del virus. E chi non arriva in tempo, si sente perduto: cresce il disagio e l'abbandono scolastico, si raccolgono sensi di insofferenza e dipendenze. Adesso viviamo il tempo del rinnovamento, il paradigma del nuovo governo per superare la crisi, uscire dalla malattia, costruire il futuro con i fondi europei. Serve progettualità, forza di rappresentanza, capacità di resistere alle sirene dell'evoluzione naturale: non possono sopravvivere solo i più forti, non può crescere ancora la distanza. Serve onestà, nella testa e nelle tasche, per gestire questa nuova fase. Basta però con le parole magiche, da queste parti ne abbiamo viste già troppe: mirabolanti piani di Rinascita, promesse di riconversione dalle monoculture delle miniere, dell'industria, della petrolchimica, delle fabbriche di bombe. In terra di frontiera abbiamo visto tante volte l'assalto alla diligenza, stavolta, per vedere l'alba dopo il lungo buio serve ben altro, basterebbe cominciare a spendere per davvero le risorse importanti, nella valorizzazione del buon seme che esiste anche in Sardegna, che possa mettere radici ed evitare che alla prossima crisi, più che parlare di progetti, si ritorni a presentare la solita lista della spesa.

Una seria riflessione sulle regioni meridionali deve coniugare le loro specificità alla nazione
di Doriano Vincenzo De Luca, direttore «Nuova stagione», diocesi di Napoli

Con la perdurante chiusura di aziende e negozi in questo 'lunghissimo inverno' dovuto al Covid-19 abbiamo visto crescere in maniera esponenziale, in una realtà già critica come quella del Sud d'Italia, altri virus che infestano, purtroppo non da oggi, la vita quotidiana: penso alle mafie, le cui radici vanno oltre il cumulo dei 'mali sociali' che ne favoriscono l'esplosione; penso al male seminato da quanti continuano a rincorrere la ricchezza attraverso corruzioni, illegalità e ingiustizie, usando il potere non come servizio, ma come arma contro il bene comune; penso all'inadeguatezza del lavoro che colpisce padri e madri di famiglia, creando disperazione e affievolimento di valori. È sempre più evidente che la debolezza della riflessione sul Mezzogiorno nasca dalla distanza tra una proposta necessariamente globale, che riguardi la concreta, fragile storia di frammentazione del Sud d'Italia, e il destino e le speranze dell'intera nazione. In realtà, cambiano i termini ma la realtà resta. Coniugare la ricchezza della propria singola storia con il resto dell'Italia è la sfida che ci riguarda tutti. La ricostruzione post-Covid offre al Mezzogiorno una occasione irripetibile per coniugare crescita economica, equità sociale e coesione territoriale e per gestire la transizione orientando i processi di sviluppo verso una maggiore sostenibilità intergenerazionale, ambientale e sociale. Insomma l'Italia cresce se cresce il Sud, ma per riuscire a spendere e spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal Next Generation Eu "occorre - per dirlo con le parole di Draghi - irrobustire le amministrazioni meridionali, anche guardando con attenzione all'esperienza di un passato che spesso ha deluso la speranza". È manifesta l'allusione a quei sussidi che ingannano il Sud al posto degli investimenti, e ingannano soprattutto i giovani i quali devono ritornare a essere il volto e l'anima di un meridione che non può fare a meno né della loro intelligenza, né delle loro braccia. E, soprattutto, non può fare a meno della loro speranza. Cosa fare? Di cosa avrebbe bisogno l'Italia e il Sud? Di certo non voglio aggiungere alle tante anche la mia ricetta 'insoluta', ma sicuramente meno assistenzialismo e più politiche attive che promuovano l'entrata e la permanenza, soprattutto dei giovani, nel mercato del lavoro; qualche privilegio in meno legato all'anzianità e alle corporazioni; meno cooptazione e nepotismo e più selezione basata su trasparenza, competenza e merito; non ultimo, meno fughe individuali e più reazioni collettive. E per noi cattolici? Anziché pensare ad un nuovo partito - idea anacronistica che ogni tanto ritorna - proviamo a riscoprire la Dottrina sociale della Chiesa e a ripartire dalla costruzione di una rete di rapporti tra le numerose opere sociali presenti nel nostro ambito, che ci fa oggi guardare al positivo che già esiste, al tanto bene che si fa e al tantissimo bene che si potrebbe fare.

Il Meridione pungolo per la svolta ecologica
di Antonio Pintauro, direttore «La Roccia», diocesi di Acerra

Considerare l'ambiente "bene comune" è la sfida mancata degli ultimi anni ma non più derogabile dei prossimi decenni, quest'anno di pandemia lo ha dimostrato. E la tanto sbandierata "transizione ecologica" non potrà prescindere dal "prevedere in modo più realistico" i "risultati economici di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma", come auspica papa Francesco. In questa partita il meridione d'Italia è chiamato a giocare una partita chiave. Il sud del Paese ha infatti pagato un prezzo troppo alto per avere avuto il coraggio di 'scoperchiare' un pentolone dal quale si sono diffusi i miasmi di uno pseudo sviluppo le cui disastrose conseguenze balzano oggi più che mai ai nostri occhi. Troppe 'cattedrali nel deserto', da Napoli a Palermo, richiamano alla coscienza il fallimento di quel mito del "modello industriale" che ha sottratto al meridione terreno fertile e bellezze paesaggistiche per lasciare posto alla cementificazione selvaggia, ma che non riguarda solo le terre del Sud. Certo, sarebbe ingenuo pensare che la semplice 'flotta' di sottosegretari e viceministri del Sud all'interno del nuovo governo basti a riportare il meridione al centro della politica nazionale. È necessario piuttosto la scelta del metodo indicato dallo stesso Pontefice nell’enciclica «Laudato si'» sulla cura della casa comune: «Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l'interesse economico immediato […] C'è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione» (n.183). Il convegno nazionale Custodiamo le nostre terre. Salute, ambiente, lavoro promosso dalla Conferenza episcopale italiana il prossimo 17 aprile, attraverso le Commissioni per il servizio della carità e della salute, la Commissione per i problemi sociali, del lavoro, la giustizia e la pace, gli Uffici nazionali per la pastorale della salute e per i problemi sociali e il lavoro, e Caritas italiana, insieme a dieci diocesi della Campania nelle quali insistono gran parte dei comuni tra Napoli e Caserta, ma anche altri territori gravati dal peso ambientale, avrà come obiettivo un cambio di paradigma: il passaggio dal concetto di Terra dei Fuochi al considerare l'inquinamento quale "fenomeno diffuso" nell'intera Penisola. Al confronto, per la maggior parte online con una 'presenza' qualificata ad Acerra, parteciperanno settantotto diocesi di tutta Italia nei cui territori insistono i siti che il ministero dell'Ambiente classifica di interesse nazionale per inquinamento ambientale, equamente distribuiti, appunto, su tutto il suolo della Penisola.

La passione per la comunità di appartenenza è il motore di un Mezzogiorno a più marce
di Grazia Biasi, direttore «Clarus», diocesi Alife-Caiazzo

Il Covid delle mille possibilità: quella di restare a guardare e attendere un aiuto, un segno, un sussidio, un rimborso facile; quella di darsi una mano a superare il guado di un torrente burrascoso; la possibilità di ripartire da dove il lavoro si era solo apparentemente fermato; quella di far compiere alla scuola un salto di qualità nella confidenza con il digitale; e poi ancora la possibilità di pesare i 'sistemi' sanitari territoriali. Più di tutto la possibilità di essere fratelli. Un Sud a più marce, quello del Covid-19, dove a seconda dei territori e delle esigenze, dei contesti sociali con già consolidate difficoltà o motivate speranze, sono emerse reazioni diverse, slanci o affanni. Ho chiara un'immagine, ma credo familiare a molti: il volto felice di tante mamme che a causa della pandemia hanno visto ritornare i loro figli a casa per il lockdown della scorsa primavera, e molti di questi rimanerci, qualcuno per il vantaggio di lavorare da remoto, altri purtroppo per aver perso il lavoro. Sono le mamme e i papà di un Sud che hanno cresciuto i loro ragazzi, investito sulla loro formazione o su una residenza all'Estero. Ma sono tornati. Il Covid ha offerto loro la strana possibilità di tornare a casa e a noi - tramite loro - quella di arricchirci; rientro che per molti ha significato un nuovo innesto nella vita delle comunità di origine; il loro entusiasmo, la creatività, le competenze acquisite, la loro globalità restituiti alla vita delle comunità è stato un segno di naturale e spontanea riconoscenza, di affetto: la speranza del Sud è nella fraternità, nel 'benessere comune', nelle radici mai spezzate dei migranti di ogni generazione arricchiti dalla conoscenza e dall'esperienza del mondo. La maggior parte di essi ripartirà, ma ci avrà scosso dalla rigida convinzione che chi resta non è solo. Il Rapporto italiani nel mondo 2020, in un interessante approfondimento sulla mobilità tra Province italiane, in particolare sul fenomeno dello spopolamento delle periferie, parla di questo scambio tra chi è tornato e chi lo ha accolto anche come di una 'primavera italiana' lì dove la politica dallo 'sguardo lungimirante' (mentre siamo in attesa di vedere collocate le risorse del recovery fund) sappia tracciare percorsi per 'persone e relazioni'. Il concetto di 'prossimi nella distanza' è ancora un'altra possibilità su cui il Covid ha fatto luce. Il Sud a più marce tale rimane, ma ha l'obbligo di procedere nell'unica direzione. Nell'enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco è la consegna: "Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l'illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto".

La rinascita è possibile superando le apparenze
Salvatore d’Angelo, direttore «Insieme», diocesi Nocera-Sarno


La simpatia o l'antipatia verso una persona ci sta, se non è frutto di una posizione pregiudizievole. Il nostro problema è legato alle apparenze. Troppo bello, troppo brutto, troppo basso, troppo alto. Troppo tutto. Stare alla finestra e guardare senza immedesimarsi, senza provare a stare nei panni di chi è chiamato a decidere di un Paese, della Chiesa, di una Istituzione o di una semplice e piccola associazione, è segno di immaturità. A stento, nel migliore dei casi, riusciamo a decidere della nostra vita. Da comunicatore di provincia, credo di conoscere quali momenti riprendere e rilanciare. Figurarsi chi questo mestiere lo fa ad alti livelli e con ben altra posta in gioco. Gli applausi, come i fischi, ci sono sempre, ma non sempre sono stati ripresi e rilanciati per farne all'occorrenza prodotti di ottima propaganda. Quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ufficializzato la lista dei ministri del suo governo ho avuto un sussulto. Ah, le apparenze! Prendo ad esempio la nostra corregionale Mara Carfagna. Non riusciamo a superare il suo passato da showgirl. Sono trascorsi venti anni dal suo ingresso in politica eppure, immediatamente, in tanti abbiamo ripescato sue foto di gioventù e i filmati da Miss. Bastava fermarsi un attimo e leggere il suo curriculum. Lungi da me farne una santa. Tuttavia, il ministro per il Sud e la Coesione territoriale da titolare delle Pari opportunità ha firmato una legge che non esisteva. È vero che sulla violenza di genere si deve fare ancora moltissimo, ma se lo stalking è reato un merito le va riconosciuto. Allo stesso modo, da vice presidente della Camera dei deputati ha servito onorevolmente il Parlamento. Se vogliamo emergere come Sud dobbiamo sperare che quando si parla di Mezzogiorno non scatti il metro Carfagna. Gli osservatori, gli amministratori non si fermino ai nostri calendari, ma leggano i curriculum. L'illegalità, il clientelismo, l'analfabetismo non solo letterario ma anche digitale e culturale non sono la nostra unica carta di identità. Abbiamo le forze giovani e propositive che stanno reinventando il mondo agricolo. Abbiamo un territorio favoloso. Possiamo contare sull'energia delle famiglie, dove non sono ancora disgregate. Ci sono le menti brillanti che si formano nelle nostre istituzioni universitarie. A proposito, tanti giovani sono ritornati a casa grazie allo Smart working dando vita al fenomeno del South working, che ha svuotato il Nord diventando motore per il Meridione. Abbiamo dimostrato, e tuttora dimostriamo, che il Mezzogiorno vale. Si impari dagli errori, ma non diventino un blocco. Se ci tiriamo indietro, ci resteremo definitivamente. Renzi, Conte, Draghi: è ora di andare avanti. Basta slogan che fomentano animi, titillano l'ego di qualcuno, ma non contribuiscono alla salvezza di tutti. Il Mezzogiorno riparta da qui. Non sia vittima delle apparenze. Non si faccia ingannare da esse.




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