Perché sto bene con te

Brevi e personali pensieri sul genio di Franco Battiato


a cura di Giovanni Di Rubba

Strani Giorni cantava a fine anni ’90 Franco Battiato, giorni di una alienazione spirituale, dello spirito che si fa materia e dove tutto ciò che è abnorme, assurdo, ha la meglio. L’album era, non a caso, Gommalacca che, a leggerne il testo, la composizione, il giro ossessivo, non può non farci rivivere questi strange days pandemico-esistenziali che stiamo attraversando.

Ma Franco Battiato  è sempre stato un problema per l’etichettante critica musicale, “mandiamoli in pensione/i direttori artistici/gli addetti alla culture” Cantava in Patriots to arms.

Ma era 'solo', e scusate se è poco, un musicista con la passione per il suo lavoro, pronto a varcare ogni frontiera sperimentale.  

Ora dovremmo effettivamente fare a meno della sua vestigia umana e, forse, davvero comprenderlo.

La sua ironia che sfiora il sarcasmo, il suo senso di fare qualcosa pensando ad altro, il rispondere scostante.

Corrono alla mente, pulsano nel cuore, gli attimi della storica esibizione innanzi a papa Giovanni Paolo II, in mondo visione, un Battiato adagiato su un tappetto, visibilmente commosso, anche se cercava di mascherarlo

Due i pezzi eseguiti innanzi al pontefice: E ti vengo a cercare e Fisiognomica. Una canzone d’amore ed una di filosofia frenologica, lombrosiana quasi, assurgono a celebrazione dell’amore per la politica, la patria, nazionale e celeste, commuovono il pontefice. Passando dal riferimento ad un'unica patria originaria, "e ti vengo a cercare/perché in te trovo le mie radici/perché sto bene con te”, alla pseudoscienza millenaria che dai tratti del volto e del corpo decodifica il carattere, sussurrando il limite stesso della materia “ma se ti senti male/rivolgiti al Signore/credimi siamo niente/dei miseri ruscelli senza fonte”.

Non più e forse mai icona di una new age alla moda né “pastore “ cristiano, ma i suoi testi, le sue musiche rilassanti, le sue meditazioni, certo non posso non avere valore quasi didascalico, testimonianza di valori che si stanno perdendo.

Franco Battiato, partito da Jonia, nel catanese, sempre saldamente siculo, prima a Milano, ove si avvicina all’elettronica frequenziale da un lato ed allo spiritualismo, soprattutto sufi, dall’altro, sempre ha in sé vivo e vivido il desio di spiritualità, scopo della sua ricerca, della sua vita. Da fine anni ’90 scriverà con Manlio Sgalambro, anch’egli scomparso da qualche anno, un filosofo ateo cui solo Franco poteva colmare di spirito i testi musicandoli.

Ma Battiato era anche il musicista e compositore da camera, il librettista, il pittore, il regista (quattro lungometraggi di cui uno biografico e due documentari) nonché di diverse opere teatrali.

Sempre e comunque, tutto, in una ottica sperimentale e godibilissima.

Interessante, tra tutti, il documentario Attraversando il Bardo, da egli realizzato, sul tema della morte, nonché Niente è come sembra, lungometraggio in cui il disincanto non elude la critica al “pensiero senza pensiero” ateo.

A noi, oggi, non resta che ascoltare e riascoltare La cura, per non smettere di cercare un centro di gravità permanente, e il Cinghiale Bianco, per volere un amore senza utilitarismo, a  liberarci dal Re del Mondo per correre da chi abbia davvero cura del nostro cuore.




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