Il tu della verità

Filippo e Natanaele, protagonisti della pericope offerta oggi dalla liturgia, nella profonda riflessione del seminarista Italo Prisco


a cura di Italo Prisco

seminarista

 

All’inizio dell’esperienza cristiana non c’è un’esperienza mistica o eccezionale, ma un’esperienza profondamente umana. Ci sono relazioni su cui la grazia di Dio riesce a far leva fino al punto da farle diventare la strada principale che Gesù percorre per arrivare direttamente a noi.

Filippo, un intermediario entusiasta che si fa eco della voce di Gesù, chiama altri uomini all’incontro con Lui. Una voce di un uomo qualunque che si fa strumento della Parola di Dio per raggiungere ogni creatura. È questa la prima bella notizia che emerge – nel brano evangelico di oggi, 24 agosto, festa dell’Apostolo Bartolomeo – dal ruolo di Filippo. Egli è fedele al suo nome (dal greco antico “amico dei cavalli”): crea legami, si lascia impastare dagli altri. Forte e consapevole dell’incontro con il Signore, avverte il bisogno e la gioia di comunicare a quanti incontra l’esperienza che ha vissuto: l’Uomo-Dio gli si è rivelato, pro-ponendogli un cammino di vita.

Filippo incontra Natanaele (Bartolomeo): il primo cammina libero, contagioso, il secondo è fermo, seduto (pare che i rabbini studiassero la Torah sotto una pianta di fico). All’entusiasmo del primo, corrisponde la diffidenza e lo scetticismo del secondo. Filippo non si scoraggia né s’impone: invita a fare esperienza della sua stessa gioia! Non dà risposte preconfezionate, lo aiuta ad alzarsi, a mettersi in cammino per cercare Gesù nella sua vita.

Natanaele è un uomo della tradizione: figlio di una storia, si approccia alla vita inserendola in una trama di avvenimenti che gli sono familiari, perché elaborazione delle sue ricerche. È un attento studioso e sa bene che Nazaret non è compresa nella geografia della salvezza: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46).

La Galilea è il luogo sbagliato: i conti non tornano!

Tuttavia, c’è, in Natanaele, un atteggiamento “sano”: non è un credulone ingenuo. Egli sperimenta il travaglio di chi si lascia interpellare dalla storia che vive, non limitandosi solo a coinvolgersi, quasi passivamente, dall’entusiasmo altrui. Continua a porsi domande, a fare ricerche, a mettere in gioco le sue sicurezze, ma con una postura nuova: ora è in piedi, ha un orizzonte di veduta più ampio, vede “dall’alto”.

Nel suo bisogno di criticità, che talvolta frantuma una resistenza dietro la quale si cela la paura di mettersi in gioco, Natanaele si trova ad un bivio nel suo cammino: inizio a scrollarmi di dosso gli schemi di precomprensione e mi apro, con fiducia e senno, alla novità di una sfida per la mia vita o continuo a vivere la mia storia, privandola di un serio confronto con la realtà che mi chiede di compromettermi?

Bartolomeo fa un salto di fiducia: accetta l’imprevedibilità di Dio che sta inventando una geografia nuova, una vita rinnovata, pur nella sua iniziale difficoltà a riconoscerlo ed accoglierlo. Certo era stato attraversato dal dubbio, dall’obiezione ma questo non aveva precluso ogni possibilità. Non era stato bloccato dal pregiudizio.

Un uomo capace di ricredersi, perché non ha paura di frequentare luoghi sconosciuti, dove sembra che non ci sia “qualcosa di buono” (Gv 1, 46).

È leale proprio perché disponibile alla novità: per questo ammette di poter sbagliare. La prima diffidenza non lo lascia sulla sua posizione ma lo spinge ad una ricerca appassionata.

«Senza un tu l’io si svuota. Senza un noi il tu si inaridisce. Sordo a sé stesso, l’io si calpesta». (V. Lingiardi)

Diventiamo ciò che siamo grazie alle relazioni: possiamo ricusarle, ma così rifiutiamo di accedere alla nostra verità più profonda. “Essere-con-altri”, infatti, costituisce la nostra radicale relazionalità che ci contraddistingue anche nella solitudine. Anzi, «anche in solitudine i pensieri che pensiamo conservano la relazione con i pensieri che abbiamo costruito insieme agli altri e le emozioni che agitano il nostro cuore sono fili che ci tengono in relazione con gli altri». (L. Mortari)

La vita non è un evento solipsistico, poiché è intimamente connessa alla vita degli altri: nessuno da solo può realizzare pienamente il progetto di esistere.

Tanto intima e sostanziale è la relazione con l’altro che quando perdiamo qualcuno, questi si prende via una parte di noi. Ciascuno cerca la verità dell’esistenza, ma quando tale ricerca avviene in solitudine, anche se molte cose importanti si possono cogliere, tuttavia nessuna di queste è verità. La verità è frutto dell’incontro con l’altro, del dialogo, di un cammino che si fa insieme, perché la visione autoreferenziale del vivere è decisamente fallimentare.

Già Socrate nel Teeteto dice che “niente è in sé e per sé, ma tutto diviene in relazione a qualcos’altro” (157a-b). Nessuno può esistere da solo: la mia vita è intrecciata a quella dell’altro! La nostra materia ontologica è porosa: assorbe la realtà intorno e si modella in relazione all’altro.

Natanaele-Bartolomeo si arricchisce grazie all’amicizia di Filippo: ritrova sé stesso, inizia a comprendere il suo vissuto, a dare sì continuità ai suoi giorni, ma aprendosi alla novità di una possibile svolta. Di che tipo di amicizia si tratta? È certamente una relazione che si è costruita sulla cura del ben-esserci dell’altro. Filippo ha a cuore Bartolomeo: gli si fa accanto indicandogli una direzione, lasciandolo libero di prendere la sua scelta; Filippo sa decentrarsi. Natanaele avrebbe potuto, ricurvo sulle “sudate carte”, continuare a relazionarsi con esse, senza un contatto con l’Uomo.

Bartolomeo ascolta Filippo: impara dalla sua esperienza perché gli provoca un’acuta riflessione sul proprio vissuto. Ha accolto il dire dell’altro per comprendere e accogliere il senso possibile di questo dire. Perciò, ascoltare è far risuonare dentro di sé il dire dell’altro: una presenza aperta e riflessiva allo stesso tempo. L’ascolto diventa così uno spazio aprente, che genera feritoie di incontro.

Filippo è un vero amico di Bartolomeo perché gli fa fare i conti con la realtà;

gli offre la possibilità di abbandonare gradualmente la mediocrità di una vita abitudinaria, per aprirsi alla possibilità di pensare al futuro (e quindi alla riconciliazione con il suo passato), puntando su grandi ideali.

L’amicizia vera sa indicarti la strada, si fa compagna del tuo viaggio, non si sostituisce alla tua volontà! L’amicizia sincera (fondata sul rispetto della propria identità) rende possibile – come nel Vangelo – la dialettica della rivelazione: «Dio si manifesta differente attraverso (e grazie a) degli uomini differenti. Perciò ricusare queste differenze equivale a negare la Sua esistenza» (M. de Certeau). Questa mediazione umana è necessaria perché l’alleanza tra cielo e terra, tra Creatore e creatura perduri in eterno e la comunicazione – di cui Gesù è il tramite – sia permanente.

 

 

 

 




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