Un ministero al servizio della fraternità

Un ricordo di don Antonio Manzi, presbitero della diocesi di Nola, tornato alla casa del Padre.

                                                                                                    a cura di don Giovanni De Riggi

presbitero della diocesi di Nola



Sono appena terminate le esequie di don Antonio e faccio ritorno a Scafati per impegni in parrocchia. I pensieri che mi fanno compagnia durante il percorso sono tanti, i ricordi altrettanto, e tra tutti uno in particolare affiora e in un certo senso lo accarezzo con piacere. Quando incontravo don Antonio mi ripeteva spesso, con il sorriso sulle labbra che esprimeva serenità e adesione alla volontà di Dio: «Giovanni, tu da Cicciano a Scafati e io da Scafati a Cicciano». Infatti, sono i disegni della provvidenza di Dio, la “fortuna” di far parte di una diocesi il cui territorio vasto dà la possibilità di fare nuove esperienze e di conoscere realtà diverse e per questo motivo avverto di essere doppiamente legato alla sua memoria.


Don Antonio Manzi nasce il 18 novembre del 1928 nel territorio dell’attuale comune di Santa Maria La Carità, allora comune di Gragnano, ma la sua famiglia proveniva dalla vicina Scafati, esattamente da San Pietro Villaggio come lui amava dire e come fino a qualche anno fa ancora veniva chiamata questa “frazione” di Scafati. A San Pietro è cresciuto all’ombra del parroco, l’Abate Cuomo, di cui don Antonio ha serbato per sempre stima e riconoscenza. In verità lui aveva stima, direi venerazione, per tutti i sacerdoti degli anni della sua formazione e di cui parlava con ammirazione raccontando fatti, eventi, vicende con una velata nostalgia di un mondo ormai passato. La sua particolare attenzione ai sacerdoti è stata però una costante in tutta la sua vita. Don Antonio amava l’amicizia sacerdotale. La sua casa era diventata il luogo di incontro per tanti sacerdoti che mentre consumavano un pasto alimentavano la fraternità. Come non ricordare don Marco Acierno, don Nicola Venezia, don Alfonso Pisciotta, solo per fare alcuni nomi.


Fino a quando ha avuto le forze faceva visita ai sacerdoti malati, allettati, alleggerendo quella solitudine che tante volte fa visita agli anziani. Don Antonio era rimasto fanciullo, aveva un cuore di bambino. Questo è ciò che più di ogni altra cosa le persone hanno colto di lui, soprattutto i suoi parrocchiani. Arrivò a Cicciano nel 1959 dopo qualche anno vissuto a Cimitile come vice parroco di don Giuseppe Mautone di cui parlava sempre con affetto e devozione. Divenne parroco dell’Immacolata Concezione, una parrocchia eretta nel 1948 da mons. Camerlengo e che ebbe in dieci anni due parroci. Lui, invece, vi rimase per più di cinquant’anni diventando in un certo senso il primo e anche l’ultimo parroco. E quando, nel 2010, il vescovo Depalma gli chiese di dare le dimissioni per poter dare inizio a un nuovo progetto pastorale per l’intera Cicciano, don Antonio obbedì con grande sofferenza e lo si poteva facilmente comprendere perché fu un parroco totalmente dedito alla sua comunità, conosceva i nomi delle persone della sua parrocchia, entrava nelle case come familiare e amico, percorreva a piedi le strade del territorio della sua parrocchia facendosi facilmente riconoscere anche dall’abito talare che non ha mai abbandonato. Il suo stile di sacerdote ha incarnato a pieno l’ideale di parroco-pastore per cui venivano formati i seminaristi secondo lo spirito del tridentino.

L’Immacolata aveva una propria caratteristica rispetto alle altre parrocchie di Cicciano: più piccola, più popolare, in essa si respirava un’aria di semplicità e di famiglia. Anche se il sisma dell’80 provocò uno spopolamento del suo territorio don Antonio rimase lì, fedele alla sua gente, alla sua chiesa, alla Chiesa. Gli fu proposto di fare ritorno a Scafati come successore di don Angelo Pagano, morto tragicamente nel 1984, nella parrocchia di Santa Maria delle Vergini, ma lui non nutriva affatto il pensiero di lasciare la sua comunità con la quale aveva stabilito una relazione sponsale. Mite, semplice, sorridente, accogliente, con lui tutti si sentivano a proprio agio. Don Antonio è stato amato per questo e anche se le sue esequie a causa delle ristrettezze che questa pandemia impone non gli hanno reso quanto meritava, penso che il suo ricordo rimarrà impresso nella memoria e nel cuore di quanti lo hanno conosciuto come parroco, confessore, fratello, amico. Cicciano deve molto anche a lui perché sono i semplici e gli umili a fare la Storia.




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