Un «padre» autorevole che sapeva parlare ai giovani

A Tufino intitolata la sala parrocchiale a don Carmine Troianiello che guidò la comunità per quarant’anni

Don Carmine Troianiello - al quale è stata recentemente intitolata la sala parrocchiale presso la chiesa tufinese dei Santi Bartolomeo Apostolo e Giovanni Battista - arrivò a Tufino sul finire del 1940 (vi resterà per quarant’anni, ndr) quando l’Italia, da circa sei mesi, era entrata in guerra a fianco alla Germania nazista, che quel conflitto l’aveva provocato e fatto esplodere un anno e mezzo prima.

Al nuovo parroco non doveva sicuramente mancare la consapevolezza delle non poche difficoltà con cui la sua missione pastorale si sarebbe dovuta misurare: la guerra che si stava combattendo, come ogni guerra, avrebbe reso sicuramente più grama la vita di una popolazione che, tranne alcune famiglie benestanti, non navigava certamente in acque tranquille. Don
Carmine si fece subito conoscere per essere un uomo dal carattere forte e per nulla accomodante, ma altrettanto sensibile ai bisogni dei suoi nuovi compaesani, dai quali esigeva rispetto e ai quali era pronto a portare il suo conforto materiale, oltre che quello spirituale. Notizie più documentate sulla figura di don Carmine sono quelle riferite da alcuni di coloro che, a partire
dai primi anni cinquanta, lo hanno conosciuto molto bene: si tratta dei giovani e dei giovanissimi tufinesi di allora, che si divertivano con gli stessi giochi dei loro padri e dei loro nonni, che si svolgevano tutti per strada: ‘O strummolo, Mazza e ppiuzo, Uno, ammonta ‘a luna, doie, ammomt ’u bue, tre, a figlia do’re… e via dicendo. Ci pensò il parroco a fare in modo che i ragazzi che frequentavano la chiesa e dimostravano di essere educati, potessero trascorrere il loro tempo libero cimentandosi in giochi del tutto sconosciuti ai tufinesi.

Don Carmine Troianiello

Il bel rapporto che aveva con quei giovani lo indusse a creare quello che si potrebbe definire un oratorio destinato ad una molteplicità di attività ricreative: attrezzò la sagrestia della chiesa di san Bartolomeo con un calciobalilla, un tavolo da ping pong e con vari giochi di società; mise in piedi una squadra di calcio che partecipava a tornei a livello zonale e promosse la formazione di un gruppo di “esploratori”, sul modello dei boy scout, con divise e compiti specifici assegnati a ciascuno dei suoi componenti per le frequenti escursioni da
lui stesso organizzate. Non era neanche indifferente alle grandi novità che, anche in Italia, negli anni sessanta arrivarono con la generazione beat: don Carmine, sicuramente per fare una cosa gradita ai giovani che lo attorniavano, volle organizzare una gara tra alcuni complessi provenienti dai comuni del nolano e della bassa Irpinia, al termine della quale un’apposita giuria conferì il premio al gruppo musicale che raccolse maggiori consensi.

Gli stessi giovani da cui amava circondarsi, nei giorni che precedevano la Santa Pasqua accompagnavano a turno il parroco nelle case di tutte le famiglie di Tufino: don Carmine benediceva i bassi e le camere delle abitazioni, contento di poter indurre le donne a pulire nel migliore dei modi, almeno una volta all’anno, ogni angolo delle loro case. La grande quantità di generi alimentari di cui veniva omaggiato in occasione della benedizione, per don Carmine diventava una sorta di partita di giro: in appositi canestri faceva recapitare alle famiglie più bisognose quel ben di dio di cui disponeva. Qualcosa, però, la teneva per sé, per consumarla assieme a un nutrito numero di giovani e di meno giovani, in compagnia dei quali, di tanto in tanto, gli piaceva organizzare e condividere momenti di piacevole convivialità.




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