Domenica scorsa, 21 dicembre, il Seminario vescovile di Nola ha ospitato l'evento benefico "Note di Pace per Gaza". Non è stata solo una serata di musica ma anche un'opportunità di ascolto della testimonianza diretta del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Una voce di speranza nel periodo di Avvento, da un territorio martoriato, da troppo tempo, a causa della guerra.
«É stato un vero anticipo della gioia del Natale la serata vissuta in Seminario. La comunità vocazionale del seminario di Nola ha organizzato un concerto di beneficenza con la Corale vesuviana per condividere e sostenere la speranza della comunità cristiana di Gaza che, dopo due anni di guerra, vuole ripartire, ricominciare. Ospite di eccezione, anche se in collegamento, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pizzaballa, reduce dalla sua visita natalizia proprio a Gaza. Insieme a lui abbiamo quasi toccato con mano la grazia del Natale del Signore: Cristo è nato perché noi possiamo rinascere. E a Gaza tutti stanno provando a rinascere: dalle famiglie ai bambini, dagli asili alle università, compresi coloro che sono stati evacuati e che vogliono tornare. La Corale vesuviana con i suoi canti ha dilatato la gioia e ha accompagnato la solidarietà dei tanti intervenuti. Certo: non abbiamo, e non possiamo da soli, risolvere i problemi di quella terra. Come ha ricordato il patriarca, inizia ora la fase più delicata, in un contesto sociopolitico molto confuso. La pace, però, prima che una azione é uno stile di vita fatto di capacità di incontro, di dialogo, di solidarietà. A Natale il Figlio di Dio ha scelto la via dell’amore che si dona non della forza che si impone: con Lui anche noi abbiamo voluto fare un passo su questa strada e ringraziamo di cuore quanti hanno voluto farlo con noi per avvicinarci tutti al giorno della pace», ha dichiarato il rettore del Seminario, monsignor Franco Iannone.
La voce del cardinale Pizzaballa: «La guerra al momento è ferma ma la gente ha freddo»
«C'è una situazione diversa rispetto a sei mesi fa. L'ultima volta a Gaza sono stato dopo l'attacco alla nostra chiesa, verso il fine di luglio. Era proprio nel cuore della guerra, della violenza, dei bombardamenti a tappeto. In questi giorni ho visto un clima completamente diverso. Ci sono ancora attacchi mirati ma diciamo che la guerra è finita, almeno per il momento - ha raccontato il cardinale Pizzaballa in collegamento da Gaza -. Non credo che ricomincerà, penso che sia ormai stabilizzata questa situazione.Ho visto in giro le strade piene di gente a piedi, naturalmente pochissime macchine perché non c'è più nulla. Nulla ancora è stato ricostruito, siamo ancora nella fase intermedia. Dio solo sa quando si potrà ricominciare a costruire, per cui si vive dentro una grande distruzione. La stragrande maggioranza delle case è distrutta, comunque quasi nessuna è abitabile. In ogni caso le infrastrutture sono saltate tutte, non c'è acqua, non c'è elettricità. Sei mesi fa quando sono entrato a Gaza si "sentivano" tutti morti perché c'erano ancora molte vittime sotto le macerie. Ora si vede una montagna di immondizia che brucia. Gli ospedali sono ancora parzialmente funzionanti. Adesso il cibo c'è. Si trova il modo di mangiare, questo va detto. Quello che manca in questo momento sono le coperte. C'è l'urgenza di coprirsi dalla pioggia perché è inverno: la gente ha freddo e non c'è nulla per difendersi dal freddo. Qui c'è un grande bisogno di coperte, di materiale igienico anche. Pannolini per i bambini, ci sono tantissimi bambini a Gasa. Il materiale igienico scarseggia enormemente. Si vive nelle tende dove non ci sono le fogne, potete immaginare la situazione igienica. E mancano le medicine. Sono stato in un paio di ospedali e molte persone muoiono per mancanza di assistenza medica. Ci sono molte infezioni, non ci sono gli antibiotici».
«Fase forse più difficile: la ricostruzione è ancora lontana»
«La situazione resta molto grave, è molto difficile capire quando ci sarà la ricostruzione. Prima di arrivare alla ricostruzione bisogna che ci sia un piano di ricostruzione, anche quello che è rimasto in piedi dovrebbe essere buttato giù, perché non è più stabile. Sono situazioni che richiedono un grande intervento. Ora siamo in una fase forse più difficile. Fino a questo momento si è vissuti in modalità di soppavvivenza. Adesso tutte le domande che uno non si poneva perché doveva soppavvivere, doveva provare a mangiare, doveva evitare le bombe, tutte quelle domande che per anni non ci si è posti vengono fuori. Domande del tipo "che ne sarà di noi?", "Quale futuro abbiamo per i nostri figli?", "Come sarà la vita qui? Quando si ricostruirà?", "Nel frattempo dove viviamo? Di che lavoro vivremo?".
Tantissimi bambini sono in strada. Le scuole sono distrutte. Questo è il terzo anno che non vanno a scuola. Potete immaginare che futuro si può pensare se non c'è istruzione. Ho fatto una visita in una università che è totalmente distrutta. Tuttavia è stato bellissimo vedere come sono stati capaci di ricostruire i banchi in maniera provvisoria. Ad esempio nella facoltà di Odontoiatria hanno ricostruito le sedie da dentista con materiali di fortuna. Questo segno è molto bello. Ma non solo. Molti vogliono aprire dei ristoranti. Infatti, siamo stati tutti in un ristorante, abbiamo portato un po' di famiglie a mangiare fuori. Naturalmente c'era quasi nienta da mangiare ma era un modo per stare insieme e per riprendere la vita, visto che è questo che è necessario. E ho visto anche i nostri bambini felici. Sono stati in questo senso anche un po' privilegiati, sono stati preservati un po'. Anche grazie alla presenza delle suore, dei sacerdoti, delle famiglie, insomma, che li hanno tenuti sempre vicini. Hanno fatto scuola, anche se non in ufficiale, però li hanno tenuti occupati. Non li hanno abbandonati alla frustrazione e alle bombe.
E ora vedo grande desiderio di ricominciare. Abbiamo ripreso la scuola, non solo per i nostri cristiani, ma anche per i nostri vicini. Abbiamo scuole di fortuna nelle tende. Non abbiamo le lavagne, non abbiamo nulla. Adesso arriviamo circa a 180 bambini, ma vogliamo fare di più. In questo momento non è permesso la ricostruzione. Non si trova cemento, non si trovano mattoni, non c'è nulla per restaurare. Ancora non ci sono queste autorizzazioni. Ecco, però abbiamo pensato di cercare case, con volontari, sistemare un po' come si riesce e portare lì la scuola, per avere più bambini. Pure trovare qualche luogo dove portare le famiglie che in questo momento sono rifugiate nella nostra scuola. Ma vedo tanto impegno. Sono tutti impegnati a cercare di fare qualcosa per ricominciare e ho visto anche un clima più sereno. La gente esce e porta con sé un panino per mangiare, cose di questo genere, che sono segni».
«A Gaza, in questo momento il Natale è una nuova nascita»
«C'è un desiderio di ricominciare a vivere. Ecco, e questo, visto che siamo nel mese di Natale, mi fa pensare. Il Natale è una nascita, è il Dio che entra nella storia. Vedo che a Nazareth, a Betlemme ma soprattutto a Gaza in questo momento Natale è una nuova nascita. Vogliono ricominciare a vivere, però nessuno vuole andarsene anche perché sono in contatto con quelli che sono andati via e vivono anche loro in situazioni molto precarie ma che avrebbero voglia di ritornare a casa. Se devono vivere nella precarietà, vogliono stare dove sono cresciuti, dove sono nati. Adesso i confini sono chiusi, quindi nessuno può partire. In ogni modo, a Gaza ho visto il nostro impegno come Patriarcato, come Chiesa, come Diocesi di esserci, ho assicurato tutti che saremmo presenti nelle prossime priorità, portare all'interno medicinali, magari anche qualche attrezzatura medica.
Dobbiamo esserci, trovare il modo per sostenere queste famiglie. E poi soprattutto fare rete con università, con ospedali, in varie situazioni per arrivare dove è possibile fare quello che è possibile e più sostenibile.
Ho visto nella nostra comunità un bisogno di vita, molta serenità, ma anche una buona lezione, una lezione di vita anche per noi che siamo da questa parte, che nessuno ha rancore, nessuna parola di vendetta, di odio, ma di stanchezza senz'altro. Il direttore sanitario dell'ospedale anglicano che è ospite da noi, uno dei pochi ospedali che ancora parzialmente funziona, dice che noi cristiani nel nostro dna non abbiamo la violenza e non siamo capaci di odiare, ci considerano deboli ma nella nostra debolezza siamo riusciti a ottenere la vita. Credo che questa sia la testimonianza più bella da portare a casa. Per il resto la situazione resta complicata, però ripeto, non dobbiamo concentrarci sulla fatica, sul dolore, sull'odio e sul rancore che ancora sembrano governare, dobbiamo concentrarsi sulla parola di bene, sulle rete, trovare tutte le persone e le istituzioni che hanno voglia di mettersi in gioco, metterci la faccia ed essere lì, per quelli che vogliono continuare a dire una parola di bene, di speranza, di sostegno per tutti e tenendo le porte aperte a tutti. Questo è molto importante, è un momento in cui siamo chiamati a scegliere dove stare, di qui o di là, politicamente, e io dico sempre, noi dobbiamo scegliere dove stare, dobbiamo scegliere di stare con i poveri, con chi soffre, senza giudicare e senza decidere qual è la sofferenza più giusta e più sbagliata. Dove c'è qualcuno che soffre dobbiamo portare la nostra parola, la nostra consolazione e la nostra presenza di gioia».
«In questi anni ho deciso di metterci la faccia a volte anche esagerando»
«Io sono un pochino stanco. Non è semplice tenere da pastore la mano ferma ma ho deciso in questi due anni di metterci la faccia, di essere presente, di esserci in tutte le situazioni, di mettermi in gioco, a volte sbagliando, a volte esagerando, comunque volevo e voglio che la mia gente, innanzitutto, ma chiunque sia qui, possa dire che durante questo periodo io ci sono stato.
Ho voluto esserci, è stato faticoso, non sempre ho trovato tutte le risposte, anche nella la preghiera a volte sono rimasto più in attesa di Avvento che del Natale, della nascita. La mia fede speso è stata messa alla prova però si è confermata. Alla fine con questa presenza di fede traballante mi sento sempre molto inadeguato nel mio ruolo. Tuttavia pur nella fatica, ho trovato anche tante persone che mi hanno consolato, mi hanno sostenuto, questo è sufficiente.
Voi ci aiutate tanto con la preghiera e la solidarietà concreta. Questo è importante perchè c'è bisogno adesso di concretezza. Poi, ci piacerebbe molto avervi qui al più presto anche perchè siamo un pochino stanchi degli incontri a distanza, da remoto. Vogliamo vederci da vicino e di persona perché il Cristianesimo è incarnazione, l'incarnazione è qui», ha concluso il cardinale Pizzaballa.