Rispondendo all'invito di papa Leone XIV che, nell’udienza concessa ai vescovi italiani lo scorso 17 giugno, aveva incoraggiato ogni comunità a diventare «una ‘casa della pace’, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono», la Conferenza episcopale italiana, nel corso della recente Assemblea generale, tenuta ad Assisi dal 17 al 20 novembre 2025, ha approvato la nota "Educare ad una pace disarmata e disarmante".
Già nel 1998, la Commissione ecclesiale giustizia e pace della Cei aveva pubblicato una nota sull’educazione alla pace. L'ultimo documento - la cui stesura è stata coordinata dalla Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, avvalendosi del contributo di teologi e teologhe impegnati nella riflessione sul tema della pace - invita a riscoprire «la centralità di Cristo “nostra pace” in ogni annuncio e impegno per promuovere la riconciliazione e la concordia, e si inserisce nel solco della Dottrina sociale della Chiesa, con un’analisi attenta della situazione attuale segnata da numerosi conflitti; dall’“inutile strage” di persone, per lo più civili e bambini; da una mentalità che rincorre la strategia della deterrenza degli armamenti, che può cambiare l’economia e la cultura dei nostri Paesi; da una violenza diffusa che rischia di diventare una cultura che affascina soprattutto i più giovani. Per questo, è necessario un rinnovato annuncio di pace al quale la presente Nota può offrire un contributo», sottolinea nella presentazione, il cardinale Matteo Zuppi, presidente Cei.
Il testo si sviluppa in tre tappe: esame del contesto attuale e delle sue radici; esplorazione dei principali riferimenti biblici e magisteriali, indicazione di alcune prospettive di pensiero e di azione. Un percorso per rafforzare la testimonianza di pace offrendo spunti al discernimento in un tempo ricco di interrogativi.
Leggi la nota Cei: Educare ad una pace disarmata e disarmante
Venti di guerra e violenza cui contrapporre una resistenza al negativo
Nel 2024 la spesa militare globale ha superato i 2.700 miliardi di dollari, ricordano i vescovi italiani: «Eppure, alla violenza non possiamo assuefarci; non possiamo accettare che essa divenga parte di una normalità in cui sia abituale anche la guerra - scrivono -. Non possiamo accettare la diffusione di culture violente nello sport, nel linguaggio della politica, nella quotidianità di tanti giovani (dai fenomeni di bullismo alla criminalità delle babygang). Non possiamo accettare la presenza pesante della criminalità organizzata in tante aree del territorio nazionale. Un’educazione alla pace dovrà partire anche da qui: da una resistenza al negativo che si annida anche nelle relazioni più fondamentali e deborda in ogni ambito, rischiando di diventare cultura dominante. Educare ed educarci alla pace significherà imparare a guardare in modo diverso ai conflitti: realtà che appartengono alla quotidianità umana, ma da gestire con saggezza, perché non siano occasioni di insorgenza della violenza ma di crescita in umanità. È una sfida che investe anche la cura di sé e del proprio sentire (che significa «disarmo del cuore»? come imparare a gestire la rabbia senza lasciarla prevalere?); essa tocca le relazioni familiari e quelle sociali e interessa la comunicazione nello spazio pubblico, nella politica e nei mondi social».
Comunità riconciliate per un futuro di pace dell'umanità
Il Magistero sociale postconciliare, ricorda la nota Cei, giunge ad affermare che nessuna guerra può oggi essere giustificata e a sottolineare che la pace non è solo assenza di guerra. La pace germina in una comunità riconciliata che cammina nell'orizzonte dell'ecologia integrale promossa da papa Francesco: «Alla riconciliazione ha dedicato ampio spazio papa Francesco nel suo documento programmatico, l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. Egli propone il dialogo sociale come contributo per la pace: ogni visione di pace autentica deve prevedere l’inclusione sociale dei poveri, in uno "sviluppo integrale di tutti" (n. 219), che richiama Populorum progressio. Tra i quattro principi che animano la convivenza sociale, si segnala quello secondo cui l’unità deve prevalere sul conflitto: esso non può essere ignorato, essendo parte dell’esperienza umana, ma neppure si può restarvi intrappolati, facendolo degenerare in guerra aperta», scrivono i vescovi aggiungendo che «se il mondo è il dono buono del Creatore, se tutto è connesso, la pace tra gli umani va di pari passo con quella con la terra: occorre un approccio sostenibile teso a superare l’economia dello scarto, per orientare a un’economia circolare. Al contempo, l’impegno per la cura della casa comune in un tempo di degrado ambientale crescente esige un’umanità solidale e corresponsabile per le prossime generazioni. Solo così è possibile un approccio lungimirante e prospettico, capace di andare aldilà di politiche di corto respiro che generano conflittualità e guerre. L’ecologia integrale è dimensione qualificante della pace».
Un cammino educativo che coinvolga in particolare famiglia e scuola
Bisogna intraprendere un cammino educativo, precisa la Cei, perchè «l’educazione è determinante per una vera conversione alla pace. È un’istanza urgente, che esige il coinvolgimento sinergico di una pluralità di soggetti, nella comunità ecclesiale e non solo, per coltivare cuori e forme di vita pacificate e pacificanti». Un impegno che chiama in causa non solo la comunità ecclesiale, ma anche, in particolare, la famiglia, «prima palestra di educazione alla pace», chiamata a vivere «questo ruolo essenzialmente nel dialogo intergenerazionale, evitando imposizioni di tipo autoritario o esercizi perversi di potere, che talvolta sfociano nel fenomeno tragico del femminicidio o in tragedie familiari», la scuola, cui si chiede «una quotidiana conversione a una pratica di "comunità educante" che faccia emergere l’importanza e la bellezza di relazioni significative come elementi di una cultura di pace. Valori condivisi come democrazia e partecipazione,
cooperazione e pluralismo, fondano una prassi di pace. Una prospettiva nuova e più realistica è necessaria per lo studio della storia: non mera successione di guerre, ma esame critico di dinamiche e possibilità, attenta anche alla vita quotidiana di famiglie, lavoratori e bambini, che partecipano della storia stessa - talvolta subendone le conseguenze, talvolta contribuendo a processi di liberazione e cambiamento. Per una cultura di pace è essenziale coltivare tale memoria: la storia ha visto anche momenti drammatici, talvolta veri e propri genocidi; occorre ricordarli, assieme ai momenti di riconciliazione e di speranza».
Responsabilità alta ha poi la politica: «Se la pace nella giustizia è affidata agli esseri umani, essa è soprattutto primo compito della politica. E fra le forme da essa assunte, la democrazia è certo quella più orientata alla pace. Democrazia è, infatti, non fare del conflitto politico causa di scontro, ma occasione di incontro; al cuore della sua logica sta la scoperta che nelle parole dell’altro, per quanto lontane dalle proprie, c’è sempre un frammento di verità che merita ascolto e attenzione, per imparare. La logica democratica nelle relazioni fra popoli e Stati è autentica quando abbandona ogni pretesa di unilateralità. La ricerca del bene comune si fa sempre con gli altri, mentre fallisce con approcci identitari, che dividono e separano. Quello che è il bene per tutti e tutte va costruito col concorso di tutti e tutte: l’esclusione di qualcuno o la competizione sono solo premessa per altri conflitti e inimicizie. Serve invece un respiro planetario, che sappia ascoltare attese e paure altrui e tessere dialoghi come tra compagni di un viaggio di pace. Sono istanze cui deve corrispondere anche una dimensione giuridica, sia sul piano internazionale che all’interno di ognuno dei singoli Stati: la legge deve essere strumento di difesa della pace contro gli abusi di singoli e gruppi, contro il dominio della violenza», si legge nel testo.
In ogni ambito il credente è chiamato a costruire la pace. Anche nelle Forze armate, anche nel proprio impegno professionale. Anche nell'ambiente digitale. Il fine è operare per una "difesa non miliare". «In un tempo in cui governi, attori politici e perfino opinioni pubbliche considerano la guerra come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti, occorre il coraggio di vie alternative per dare sostanza al realismo lungimirante della cura della dignità umana e del creato. Vale allora la pena di far memoria di esperienze civili di grande spessore, cui i cattolici hanno contribuito. Una di queste è quella che ha portato a scoprire che la difesa della patria non si assicura solo con il ricorso alle armi, ma passa per la cura della civitas, attraverso l’obiezione di coscienza e il servizio civile», speigano i vescovi italiani, aggiungendo che «il riconoscimento di tale diritto ha mostrato una via per passare dalla logica del "se vuoi la pace prepara la guerra" a quella "se vuoi la pace prepara la pace". Tale esperienza ha rappresentato una semina che ha poi portato all’istituzione del servizio civile, non solo alternativa al servizio militare, ma come contributo alla vita del Paese e all’attuazione dei principi costituzionali del vivere civile».
Pace: priorità pastorale per le Chiese italiane, fondata sulla preghiera
Un paragrafo specifico è dedicato all'impegno ecclesiale per la pace. Richiamando l'invito di papa Leone XIV, il vescovi italiani precisano che «educare alla pace deve diventare indicazione chiara e diffusa, testata d’angolo delle scelte pastorali ed educative: Cristo stesso è la nostra pace (cf. Ef 2,14). Non si tratta solo di rispondere a una sensibilità, a un’urgenza o al grido delle vittime: è via maestra per rispondere alla chiamata di Gesù Cristo e al suo insegnamento, ci rende più credibili nella sua sequela, ci conforma a Lui. Non basterà allora qualche evento dedicato alla pace nel corso dell’anno: occorrerà che essa intessa le proposte educative comunitarie, anche valorizzando quei movimenti, quelle associazioni e quelle comunità religiose che vivono in modo specifico il carisma e l’impegno di costruzione di pace. Occorrerà formare educatori che con competenza e passione si dedichino a un’educazione che generi cambiamento di mentalità e assieme di condizioni di vita. Occorrerà indicare possibili percorsi formativi da attivare nei diversi contesti. Occorrerà anzitutto ripartire dalla preghiera, che infonde coraggio e dà sostegno a tutti gli artigiani di pace: la celebrazione eucaristica, in modo particolare, educa il popolo di Dio a chiedere costantemente il dono della pace. Alla scuola di Gesù di Nazareth occorrerà ripensare la pace "come un vocabolario più che come un vocabolo", secondo la felice espressione di don Tonino Bello. In questo senso sarà necessario educare a una nuova immagine di Dio, fino a dar forma ad una vera teologia della pace. Al contempo diventerà essenziale educare all’ascolto, all’alterità, al perdono, alla riconciliazione, alla gestione e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti».
Per questo, si chiede alle omunità locali di valorizzare ricorrenze fondamentali come: la Marcia della pace di fine anno che, ricordano,«dal 1968 essa offre testimonianze e riflessioni sul tema proposto dal Santo Padre per la Giornata mondiale della pace, invitando anche a vivere la notte di san Silvestro con un digiuno di solidarietà da destinare a popolazioni coinvolte in un conflitto armato. A promuoverla – assieme a Pax Christi, che è all’origine dell’iniziativa – la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, Caritas italiana, Azione cattolica, Agesci, Movimento focolari, Acli e Libera. Di rilievo pure le iniziative proposte dall’Azione Cattolica per il mese della pace che si celebra in gennaio. Né possiamo dimenticare la traiettoria delle Arene di Pace, quasi catalizzatori di energie e speranze di tante componenti del popolo di Dio, ispirate in particolare dal mondo missionario».