Artigiani del discernimento per una Chiesa che si lascia rinnovare

L'omelia del vescovo Francesco durante la Messa Pro Episcopo in Cattedrale in occasione dell'anniversario di ordinazione episcopale

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Ieri, in occasione del diciassettesimo anniversario di consacrazione episcopale del vescovo Francesco Marino e del quinto anniversario del suo ingresso in diocesi - che ricorrerà il prossimo 15 gennaio - si è tenuta in Cattedrale la celebrazione della Messa Pro Episcopo. 

Toccante l'omelia di monsignor Marino, che ha guidato i fedeli in una intensa meditazione sul dono del battesimo.

«Il Battesimo di Gesù rimanda, infatti, soprattutto al nostro Battesimo - ha detto monsignor Marino - ed è occasione propizia per ripensare insieme la propria appartenenza a Cristo nella fede della Chiesa di Dio; è un evidente invito a riscoprire il dono del battesimo che abbiamo ricevuto: l'atto fondamentale con cui i cristiani sono divenuti tali. Il ricordo del battesimo del Signore e del nostro battesimo orienta: all'esperienza della gloria al fine di saper interpretare la croce; all’esperienza della luce per saper camminare nella notte; all’esperienza della bellezza per poter trasfigurare il momento della disperazioneall’esperienza di Dio per instaurare tutta la storia in Luiall’esperienza della vita per attraversare la frontiera della morte».

Anniversario ordinazione episcopale vescovo Marino

Il richiamo al cammino sinodale in corso 

«Tutti i battezzati - ha sottolineato - sono chiamati a essere promotori e attori della missione ecclesiale che non può che essere sinodale. Perciò invito ancora tutte le comunità, parrocchiali e non, con la guida dei propri pastori, a porsi in una condizione di sinodalità e a costituire al proprio interno gruppi di servizio alla sinodalità missionaria...Per permettere di camminare insieme all’ascolto dello Spirito, la sinodalità deve mettere all’opera una pratica del discernimento in comune che «porta a generare e a mettere in atto processi che ci costruiscano come popolo di Dio» e che ha di mira la comunione missionaria. Potremmo dire che tutto ciò significa passare dall’‘io’ al ‘noi’ nello spirito e nella pratica ecclesiale. La festa di oggi ci chiede di essere Chiesa in una prospettiva dinamica, inclusiva e non competitiva, che prenda in considerazione la diversità dei carismi e ponga l’accento sulle relazioni e la comunità, sull’ascolto e il dialogo, la partecipazione e la corresponsabilità, la reciprocità fra tutti i membri e la circolarità fra tutti i poli ecclesiali».

Gli appelli a presbiteri, responsabili pastorali e Chiesa di Nola tutta

«A voi presbiteri e responsabili pastorali al servizio delle comunità chiedo di porvi insieme come pastori e come discepoli, abbracciando queste parole d’ordine: prossimità, disponibilità, fiducia, mutualità; di mantenere l’obiettivo di costruire un popolo, una comunità fraterna e missionaria, al servizio del bene comune della società. Chiedo a tutti, a partire da me vescovo, di metterci umilmente ad apprendere un’arte, quella del discernimento che accoglie e designa la vita dello Spirito per fare della Chiesa una barca in movimento. È l’arte di una Chiesa che si lascia rinnovare per diventare sempre di più una Chiesa relazionale, inclusiva, dialogante e generativa, vale a dire una Chiesa in via di formazione che rinasce senza sosta con e grazie a coloro che la fanno vivere. Chiedo a tutti, a partire da me vescovo, di metterci umilmente ad apprendere un’arte, quella del discernimento che accoglie e designa la vita dello Spirito per fare della Chiesa una barca in movimento. È l’arte di una Chiesa che si lascia rinnovare per diventare sempre di più una Chiesa relazionale, inclusiva, dialogante e generativa, vale a dire una Chiesa in via di formazione che rinasce senza sosta con e grazie a coloro che la fanno vivere».


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Il testo integrale dell'omelia

Con la festa del Battesimo di Gesù continua il ciclo delle manifestazioni del Signore, che è iniziato a Natale con la nascita a Betlemme del Verbo incarnato, contemplato da Maria, Giuseppe e i pastori nell’umiltà del presepe, e che ha avuto una tappa importante nell’Epifania, quando il Messia, attraverso i Magi, si è manifestato a tutte le genti. Si conclude il tempo liturgico del Natale e inizia il tempo ordinario, quel lungo tempo della nostra quotidianità, ricca della speranza accesa dal Figlio di Dio e feconda di opere, che rispecchiano la fede in Lui.

Tutti gli evangelisti pongono all’inizio della vita pubblica di Gesù il battesimo nel Giordano annettendo all’episodio un’importanza fondamentale. Oggi Gesù si rivela, sulle rive del Giordano, a Giovanni e al popolo d'Israele. È la prima occasione in cui egli, da uomo maturo, entra nella scena pubblica, dopo aver lasciato Nazareth. Lo troviamo presso il Battista, da cui si reca un gran numero di gente, in una scena inconsueta. Nel brano evangelico, poc’anzi proclamato, san Luca osserva anzitutto che il popolo “era in attesa” (3,15). Egli sottolinea, così, l’attesa di Israele, coglie, in quelle persone che avevano lasciato le loro case e gli impegni abituali, il profondo desiderio di un mondo diverso e di parole nuove, che sembrano trovare risposta proprio nelle parole severe, impegnative, ma colme di speranza del Precursore. Il suo è un battesimo di penitenza, un segno che invita alla conversione, a cambiare vita, perché si avvicina Colui che “battezzerà in Spirito santo e fuoco” (3,16). Infatti, non si può aspirare ad un mondo nuovo rimanendo immersi nell’egoismo e nelle abitudini legate al peccato. Anche Gesù abbandona la casa e le consuete occupazioni per raggiungere il Giordano. Arriva in mezzo alla folla che sta ascoltando il Battista e si mette in fila come tutti, in attesa di essere battezzato. Giovanni, non appena lo vede avvicinarsi, intuisce che in quell’Uomo c’è qualcosa di unico, che è il misterioso Altro che attendeva e verso il quale era orientata tutta la sua vita. Comprende di trovarsi di fronte a Qualcuno di più grande di lui e di non essere degno neppure di sciogliergli i lacci dei sandali.

  Presso il Giordano, Gesù si manifesta con una straordinaria umiltà, che richiama la povertà e la semplicità del Bambino deposto nella mangiatoia, e anticipa i sentimenti con i quali, al termine dei suoi giorni terreni, giungerà a lavare i piedi dei discepoli e subirà l’umiliazione terribile della croce. Il Figlio di Dio, Colui che è senza peccato, si pone tra i peccatori, mostra la vicinanza di Dio al cammino di conversione dell’uomo. Gesù prende sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, inizia la sua missione mettendosi al posto dei peccatori, nella prospettiva della croce.  

Mentre, raccolto in preghiera, dopo il battesimo, esce dall’acqua, si aprono i cieli. È il momento atteso da schiere di profeti. “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”, aveva invocato Isaia (63,19). In questo momento, sembra suggerire san Luca, tale preghiera viene esaudita. Infatti, “Il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo” (3,21-22); si udirono parole mai ascoltate prima: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento” (v. 22). Gesù salendo dalle acque, come afferma san Gregorio Nazianzeno, “vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza” (Discorso 39 per il Battesimo del Signore, PG 36). Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo scendono tra gli uomini e ci rivelano il loro amore che salva. Se sono gli angeli a recare ai pastori l'annuncio della nascita del Salvatore, e la stella ai Magi venuti dall’Oriente, ora è la voce stessa del Padre che indica agli uomini la presenza nel mondo del suo Figlio e che invita a guardare alla risurrezione, alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.  

Il lieto annuncio del Vangelo è l'eco di questa voce che scende dall’alto. A ragione, perciò, Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, scrive a Tito: “Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (2,11). Il Vangelo, infatti, è per noi grazia che dà gioia e senso alla vita. Essa, prosegue l’Apostolo, “ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (v. 12); ci conduce, cioè, ad una vita più felice, più bella, più solidale, ad una vita secondo Dio, ad una vita nuova, anche dal punto di vista comunitario, ecclesiale.

Oggi assistiamo dunque ad una nuova epifania e rivelazione della divinità di Cristo.Il battesimo, infatti, ha costituito l’introduzione solenne di Gesù al ministero e alla vita pubblica mediante la sua consacrazione come Messia in una teofania trinitaria. Oggi in realtà anche noi, come popolo santo fondato in Cristo a continuare la sua opera nel mondo mediante carismi e ministeri, andando al fondamento battesimale della nostra identità, riscopriamo la nostra comune missione messianica da attuare nel nostro tempo: tempo difficile, tempo di pandemia, ma anche di discernimento e di opportunità nella grazia.

Il Battesimo di Gesù rimanda, infatti, soprattutto al nostro Battesimo ed è occasione propizia per ripensare insieme la propria appartenenza a Cristo nella fede della Chiesa di Dio; è un evidente invito a riscoprire il dono del battesimo che abbiamo ricevuto: l'atto fondamentale con cui i cristiani sono divenuti tali. Il ricordo del battesimo del Signore e del nostro battesimo orienta:

  •  all'esperienza della gloria al fine di saper interpretare la croce
  • all’esperienza della luce per saper camminare nella notte;
  • all’esperienza della bellezza per poter trasfigurare il momento della disperazione
  • all’esperienza di Dio per instaurare tutta la storia in Lui
  • all’esperienza della vita per attraversare la frontiera della morte.

Anche su ciascuno di noi è sceso con forza lo Spirito Santo che purifica, rinnova trasforma e, soprattutto invia. Nel battesimo innanzitutto noi siamo inseriti nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa di Dio, moriamo e risorgiamo con Lui, ci rivestiamo di Lui e ciascuno è abilitato a realizzare l'universale chiamata alla santità.

Ma c’è di più: mediante il Battesimo ciascuno è inviato nel mondo a render visibile Cristo il Figlio di Dio. Esso è anche la radice e il motivo principale del nostro ruolo attivo nella Chiesa di Dio e nella nostra missione di cristiani nel mondo. Questa vocazione è rafforzata e confermata dal sacramento della Confermazione, è alimentata dalla preghiera, dalla parola di Dio e dall'Eucaristia.

Per questo, come per Gesù all’inizio del suo ministero pubblico, la liturgia di oggi, festa del battesimo del Signore e giornata pro episcopo, pone ognuno di noi: vescovo, ministri ordinati, religiosi e religiose, fedeli laici tutti, di fronte a un nuovo inizio missionario in maniera sinodale, come ci chiede papa Francesco.

Egli dice che: “Quel che caratterizza un cammino sinodale è il ruolo dello Spirito santo. [...] Aperto ai cambiamenti e alle nuove opportunità, il sinodo è per ognuno un’esperienza di conversione”. Esso richiede di aprirsi all’inatteso di Dio che, attraverso l’ascolto degli altri, giunge a toccarci, a scuoterci, a modificarci interiormente. Cammino di discernimento in comune di una assemblea radicata nell’eucaristia che prende coscienza di sé e si mette in strada insieme. L’esperienza battesimale ci dice che essa è fondamentalmente chiamata alla conversione per elaborare e produrre una comunione missionaria al servizio del mondo.

È un processo - un processo spirituale - che si svolge nel tempo. Ha bisogno di un inquadramento e di una struttura ma, in modo fondamentale, è lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come il camminare insieme e il riunirsi in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo.

In tal modo, tutti i battezzati sono chiamati a essere promotori e attori della missione ecclesiale che non può che essere sinodale. Perciò invito ancora tutte le comunità, parrocchiali e non, con la guida dei propri pastori, a porsi in una condizione di sinodalità e a costituire al proprio interno gruppi di servizio alla sinodalità missionaria.

Come sappiamo, si tratta innanzitutto di uno stile, di una pratica, di una maniera di essere Chiesa nella storia «a immagine della comunione trinitaria»; secondo papa Francesco: “la pratica della sinodalità, tradizionale ma sempre da rinnovare, è l’attuazione, nella storia del Popolo di Dio in cammino, della Chiesa come mistero di comunione, a immagine della comunione trinitaria… la sinodalità è uno stile, è un camminare insieme, ed è quanto il Signore si attende dalla Chiesa del terzo millennio.

Per permettere di camminare insieme all’ascolto dello Spirito, la sinodalità deve mettere all’opera una pratica del discernimento in comune che «porta a generare e a mettere in atto processi che ci costruiscano come popolo di Dio» e che ha di mira la comunione missionaria. Potremmo dire che tutto ciò significa passare dall’‘io’ al ‘noi’ nello spirito e nella pratica ecclesiale.

La festa di oggi ci chiede di essere Chiesa in una prospettiva dinamica, inclusiva e non competitiva, che prenda in considerazione la diversità dei carismi e ponga l’accento sulle relazioni e la comunità, sull’ascolto e il dialogo, la partecipazione e la corresponsabilità, la reciprocità fra tutti i membri e la circolarità fra tutti i poli ecclesiali. È appello a «camminare insieme a sentirsi assemblea del popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo»; ad intraprendere «un processo spirituale in ogni comunità e a tutti i livelli; un modo di vita che favorisca e sviluppi la partecipazione e la collaborazione di tutti.

A voi presbiteri e responsabili pastorali al servizio delle comunità chiedo di porvi insieme come pastori e come discepoli, abbracciando queste parole d’ordine: prossimità, disponibilità, fiducia, mutualità; di mantenere l’obiettivo di costruire un popolo, una comunità fraterna e missionaria, al servizio del bene comune della società.

Chiedo a tutti, a partire da me vescovo, di metterci umilmente ad apprendere un’arte, quella del discernimento che accoglie e designa la vita dello Spirito per fare della Chiesa una barca in movimento. È l’arte di una Chiesa che si lascia rinnovare per diventare sempre di più una Chiesa relazionale, inclusiva, dialogante e generativa, vale a dire una Chiesa in via di formazione che rinasce senza sosta con e grazie a coloro che la fanno vivere.

È questa la preghiera che depongo con voi oggi sull’altare di questa nostra bella chiesa cattedrale affidandola all’intercessione dei nostri santi vescovi Felice e Paolino. Amen, così sia!

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