Non rinunciamo ad annunciare la Speranza

La nota del vicario per la Carità e la Giustizia, don Aniello Tortora, a conclusione dell'incontro con i direttori degli uffici di settore

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«Come Chiesa vogliamo tentare di dare risposte concrete, per non far sentire nessuno solo, escluso o abbandonato (per quanto possibile, anche a causa dei limiti imposti dalle norme anticovid), senza però rinunciare al nostro compito primario, che è quello di annunciare il Vangelo della Speranza».

Così scrive il vicario per la Carità e la Giustizia don Aniello Tortora nella nota stilata a conclusione dell'incontro online con i direttori degli uffici diocesani di settore.

Questo il testo integrale della nota

“In effetti questo tempo è davvero tempo dello Spirito, nel quale  farci  condurre  dall’amore  di  Gesù.  Lasciamoci  prendere  dal suo amore e affidiamoci a questo, senza cercare tutte le risposte, ma iniziando a volere bene, a metterci a disposizione, a ricostruire come possiamo quei legami che si sono interrotti e quelli  che  abbiamo  visto  che  non  c’erano  e  che  hanno  lasciato  tanti in solitudine. Pieni di Spirito, cioè dell’amore di Gesù, andiamo incontro agli  altri,  parliamo  di  Gesù,  della  sua  speranza,  e  facciamolo  soprattutto con la nostra vita. In questi mesi tantissime persone sono  rimaste  legate  a  noi  e  tra  di  loro  attraverso  i  mezzi  di  comunicazione sociale e si sono scoperti spiritualmente uniti e questo ha dato tanta consolazione e compagnia. Non dobbiamo ripartire   da   qui?   Sappiamo   che   non   cambierà   tutto,   che   dovremo  confrontarci  con  la  nostra  vita  di  sempre,  ma  anche  che lo Spirito ci sta aiutando a trovare le risposte nuove. Come il  seme:  sappiamo  che  in  esso  c’è  qualcosa  che  produce  vita,  che  esso  contiene  già  il  frutto  anche  se  oggi  non  lo  vediamo.  Abbiamo  tutti  un  impegno  da  assumere:  non  lasciar  cadere,  anzi  irrobustire  i  gesti,  i  segni,  le  iniziative  di  prossimità  e  di  opportunità nuove che si sono avviate con il coronavirus. Certamente  questo  ci  chiede  collaborazione  con  le  realtà  comunali  e  amministrative  dei  nostri  territori,  ma  dobbiamo  fare  attenzione  a  strumentalizzazioni,  ingerenze  reciproche  e  richieste di privilegi che offendono la bellezza del sano impegno civile. Il piano pastorale va distinto da quello propriamente politico, e questo vale soprattutto per chi ha responsabilità di guida ecclesiale. La strada maestra la troviamo nella Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS, 1)”. Lo sapevamo, ma altro è capirlo nella vita. (dalla Lettera Pastorale del Vescovo “Da Emmaus alle nostre parrocchie” (p. 22-23).

Accogliendo le sollecitazioni del nostro Pastore, i Direttori degli Uffici diocesani del Settore pastorale CARITA’ e GIUSTIZIA, insieme al Vicario episcopale, si sono incontrati via web, per riflettere sull’attuale situazione sociale dovuta all’emergenza coronavirus, alla ricerca di  strade inedite, per accompagnare le parrocchie nel servizio della carità, in questo difficile momento. Come Chiesa vogliamo tentare di dare risposte concrete, per non far sentire nessuno solo, escluso o abbandonato (per quanto possibile, anche a causa dei limiti imposti dalle norme anticovid), senza però rinunciare al nostro compito primario, che è quello di annunciare il Vangelo della Speranza.

Sarebbe bello, innanzitutto, che le parrocchie di una stessa città dessero una risposta coordinata e collaborativa. Potrebbe essere, questo, il primo segno di conversione pastorale in questo periodo di paura, rabbia, confusione, sfiducia. Papa Francesco ci invita continuamente a vivere questo momento come kairòs (“tempo opportuno di grazia”) per vivere la comunione e la sobrietà ecclesiale. I problemi conseguenti al coronavirus sono troppo grandi, complessi e nessuno ha la capacità o la presunzione di affrontarli e risolverli da solo.

È doveroso anche (alcune parrocchie già lo fanno!) collaborare, (senza sostituirci) con le Amministrazioni comunali , le associazioni attive presenti sul territorio e con gli uomini e le donne di buona volontà. Dobbiamo fare RETE, costruire insieme una rete di servizi, per mettere insieme domande di bisogni e offerte. La parrocchia, ringraziando Dio, rappresenta ancora la FONTANA del VILLAGGIO, cui tutti possono attingere per dissetarsi nei loro bisogni spirituali e materiali.

Insieme a quello che con tanto amore e solidarietà già è in atto da sempre nelle nostre parrocchie, potremmo affiancare un sostegno psicologico e spirituale. Le persone oggi, forse, vivono nuove forme di povertà: paura, sfiducia, fede fragile. C’è bisogno di testimoni della SPERANZA, che aiutino a vincere la rassegnazione e sostengano le persone più fragili. Tante persone sono in attesa dei risultati del tampone, vivono da soli  in quarantena, non possono curarsi normalmente, in specie anziani e diversamente abili. La solitudine e la disperazione oggi sono diverse da quelle di marzo-aprile, creano rabbia; e noi dobbiamo tenere conto di questa trasformazione. E’  necessario far sentire loro che una comunità c’è, secondo lo  spirito dell’ultima enciclica Fratelli tutti.

A questo proposito sarebbe stimolante lanciare nelle nostre comunità il VOLONTARIATO di PROSSIMITA’. Bisognerebbe individuare in ogni condominio o palazzo (o cortile) alcuni volontari che facciano da “ sentinelle della solidarietà”, antenne dei bisogni. Papa Francesco all’Angelus di Domenica 22 Novembre ci ha detto che non bisogna aspettare che i poveri vengano da noi. Bisogna “scovarli”, interessandosi concretamente delle persone che vivono quotidianamente vicino a noi. Il nostro “prossimo”. Una telefonata, un wathsapp, una spesa, un pasto caldo (dove necessario)  possono rappresentare un segno concreto di vicinanza.

Per continuare a vivere questo volontariato o per avviarlo, gli Uffici diocesani sono a servizio delle parrocchie. Stiamo anche pensando a momenti di FORMAZIONE settimanali in tal senso, per far rifiorire sempre di più nelle nostre parrocchie cuori che ascoltano, che vedono e che agiscono.

La parrocchia, ove ce ne fosse bisogno, potrebbe anche farsi carico di “dare voce a chi non ha voce”, esercitando la sua profezia sul territorio, nel denunciare ingiustizie e nel richiamare, sempre con amore e parresìa, le Istituzioni a fare il loro dovere.

Un’attenzione particolare dobbiamo rivolgerla ai nostri fratelli carcerati. I cappellani delle carceri della Campania, in una lettera al ministro della Giustizia parlano di un contagio aumentato del seicento per cento nelle ultime settimane, denunciando che «l’epidemia di coronavirus in queste ultime settimane sta mettendo a dura prova la situazione dei penitenziari ». E, nella stessa lettera, chiedono di «rivedere la sua posizione sull’indulto, che in questo momento sarebbe una misura di civiltà giuridica che porrebbe freno alla condizione inumana in cui i detenuti versano». «Chi era ai margini lo è ancora, e aggiunge alla sua ordinaria condizione di precarietà anche quella di un’esposizione al rischio di contagio sicuramente maggiore. Con effetti deflagranti anche dal punto di vista psicologico ». Anche qui, sarà importante “vegliare”, “fare attenzione” a tutte quelle famiglie delle nostre parrocchie che vivono questo dramma e far sentire loro la vicinanza del Signore e della Chiesa.

Una prossimità particolare dobbiamo rivolgerla anche  ai nostri fratelli migranti. Sono dimenticati un po' da tutti. Ogni parrocchia, in base alle presenze sul territorio, può pensare ad interventi pastorali in tal senso.

Un impegno particolare dobbiamo  riservarlo ai tanti papà e mamme che hanno perso il lavoro, o lavorano in nero e sono precari.  La pandemia ha aggravato il problema della mancanza di lavoro e tanti possono diventare facile preda dell’usura e della criminalità organizzata che, certamente, sta valutando  come “sfruttare”, per sporco interesse, questo momento storico che stiamo vivendo.

Anche gli infermieri, i medici, gli insegnanti, le famiglie con i piccoli che sono costretti alla DAD, sottoposti in questo periodo ad un lavoro veramente stressante, hanno bisogno di tanto conforto e prossimità.

Papa Francesco ci ricorda sempre che stiamo tutti sulla stessa barca. Se ci diamo una mano, insieme, ce la faremo a raggiungere il porto sicuro della serenità personale e familiare e della fraternità locale e universale.

Il Vicario Episcopale e i Direttori degli Uffici Diocesani

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