Operai di fraternità, nella casa di Paolino

Il Messaggio del vescovo Marino per la Solennità di san Paolino, patrono della diocesi e patrono secondario della Campania

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«Dovunque arriva e ritorna Paolino si riemerge sempre dalle macerie». Lo scrive il vescovo di Nola, Francesco Marino, nel lungo messaggio che ha voluto rivolgere alla Chiesa locale che guida dal 2017, nella Solennità del patrono della diocesi e patrono secondario della Campania, san Paolino di Nola, del prossimo 22 giugno.

Parole che risuonano come una promessa di vita, che delineano un orizzonte di speranza necessario in questo tempo segnato dal dolore, che ridanno linfa al senso del ‘far festa’ anche in assenza dei festeggiamenti, anche in assenza della tradizionale ballata dei Gigli di Nola: «Stimolati, dunque, dalle ormai proverbiali parole di Sant’Agostino, anche noi vogliamo accogliere il monito del Vescovo d’Ippona nella Lettera XXVI a Licenzio, già suo giovane discepolo: ‘Vai in Campania e impara Paolino’. Un’esortazione questa che potremmo assumere in maniera particolarmente avvertita in questo prossimo decennio durante il quale prepararci alla celebrazione del giubileo in suo onore, commemorando i 1600 anni del suo dies natalis in Dio».

Monsignor Marino invita tutti a farsi Operai di fraternità, nella casa di Paolino, cioè in quella Chiesa che divenne sua dimora, fisica e spirituale: «Ci aspettano anni intensi, nei quali saremo chiamati anche noi a ricompattare il tessuto di fede delle nostre comunità parrocchiali e familiari. Tutti a lavoro, dunque, nel grande cantiere diocesano!», scrive, dopo aver rivolto, poco prima, un delicato appello alla cura dei luoghi di culto, e in particolare della Cattedrale, in questi tempi sottoposta ad importanti e necessari lavori di ristrutturazione «che chiederanno nei prossimi mesi una nostra corresponsabilità, anche economica, proprio in quello spirito paoliniano che volle le basiliche di Cimitile sempre belle per decoro artistico e sicurezza strutturale. Lo dico come delicato appello: non abbiamo potuto in questi due anni costruirgli gli obelischi votivi, sarebbe un bel gesto se ci adoperassimo in suo onore a contribuire ai lavori di manutenzione straordinaria di quella casa che custodisce le sue spoglie mortali».

Quattro i paragrafi in cui si articola il testo episcopale attraverso il quale il vescovo di Nola condivide «alcuni stimoli e sollecitazioni che possano aiutarci in quell’impegno di ristrutturazione spirituale già indicato da papa Francesco nella Evangelii gaudium per tutta la Chiesa ed urgente negli anni prossimi che segneranno la ripresa post-pandemia»:

  • Ricostruire alla luce della Pasqua di Cristo le ferite dei tanti lutti in famiglia, imparando da Paolino a ricapitolare in Cristo le vicende e l’esistenza personali. In Cristo, ricorda il vescovo Marino, il patrono diocesano trovò il sostegno per affrontare la perdita del figlioletto Celso, scoprì l’autentico significato della sacramentalità matrimoniale, diede nuovo scopo alle sue abilità artistiche e poetiche: «Siamo chiamati, dunque, a mettere le nostre competenze e sensibilità a servizio della fede pasquale. Non è più il tempo delle eccellenze autoreferenziali, abbiamo bisogno in quella dimensione sinodale voluta da papa Francesco, accolta dalla Chiesa italiana e già sperimentata dalla nostra Diocesi, di mettere a servizio dell’evangelizzazione, all’interno delle nostre parrocchie, i carismi che il Signore ci ha donato».

  • Ricostruire la famiglia a partire dall’amore in Cristo degli Sposi. Grazie alla moglie Terasia, Paolino scoprì il Vangelo: insieme, ricorda monsignor Marino, divennero «esempio e sprone alla partecipazione coniugale e familiare alla vita comunitaria cristiana…Mi sembra importante - aggiunge - raccogliere questa eredità, anche in un tempo che vede la crisi dei matrimoni sia nel loro nascere sacramentale che nella durata della loro continuità familiare. Non rinunciamo alla dimensione sacramentale che da credenti è l’unica ritualità da scegliere per fondare la famiglia sulla roccia di Cristo. Tanti, troppi, scelgono la convivenza o il rito civile per comodità o convenienza; non meno per paura di fronte ai fallimenti di tante coppie. Vere sono anche le difficoltà occupazionali e le restrizioni sanitarie di questo tempo, ma la grazia sacramentale è quanto serve per fronteggiare le difficoltà e le crisi attuali».

  • Ricostruire con la bellezza della carità accogliendo le nuove povertà. Il vescovo Marino invita ad apprendere da Paolino e Terasia lo sguardo da porre sull’altro, quello sguardo che li portava a vedervi Cristo. Scrive monsignor Marino: «Paolino non fa scelte pauperistiche ed è lontano dalla teatralità di gesti che potrebbero apparire in un contesto attuale un ritorno di consenso d’immagine. A chi rimaneva ammirato della sua decisione di spogliarsi dei beni materiali, egli ricordava che tale gesto era ben lontano dal rappresentare già la piena conversione…Va anche ricordato che l’attenzione ai poveri non va messa in contrapposizione con la cura per la bellezza e la dignità dei luoghi di preghiera: la ricostruzione artistica delle Basiliche intorno alla tomba di Felice nell’intenzione del Santo Vescovo era essa stessa un’attività caritativa…Ne deriva che anche la carità culturale è una delle sfide che ci vede impegnati a realizzare come credenti un nuovo umanesimo in Gesù Cristo. Questo tempo di pandemia, con il distanziamento e le relative chiusure, con le paure e i sospetti di contagio ci ha resi tutti più poveri e a tratti ci abbrutiti in logiche funzionalistiche e troppo pragmatiche. Oltre i pur necessari protocolli di contingentamento, ricostruiamo relazioni ricche di bellezza!».

  • Ricostruire le relazioni distanziate con l’arte nell’amicizia ecclesiale. Da Paolino poi, si può apprendere il valore dell’amicizia. Nell’ultimo convegno promosso dal diocesano Centro studi e documentazione su Paolino di Nola, ricorda il vescovo Marino, è emersa con forza la figura del santo vescovo «in quella rete fitta di scambi amicali e di fede che ha avuto nel Mediterraneo il suo bacino di interazione. Sono grato al Centro di studi e documentazione e a tutti i suoi dirigenti, perché ancora una volta ci offre la possibilità di riconoscere il nostro come il ‘Santo dell’amicizia’. Non si tratta solo di rapporti epistolari o di occasionali incontri di conoscenza, per Paolino l’amicizia è sinonimo di comunione ecclesiale. D’altra parte è inserita nella dinamica stessa che Gesù sceglie come forma di relazione con i suoi discepoli: ‘Vi ho chiamati amici’ (Gv 15, 15)».

Il 22 giugno, alle ore 20, presso la Basilica Cattedrale di Nola, monsignor Marino presiederà il Solenne Pontificale per la Solennità di San Paolino di Nola. Durante la celebrazione, si svolgerà il rito di Ammissione tra i candidati agli ordini sacri del diaconato e del presbiterato per i seminaristi Mario Casillo, di San Gennarello di Ottaviano, e Salvatore de Cicco, di Pomigliano D'Arco.

 

Il busto argenteo del Santo


Il testo integrale

Operai di fraternità, nella casa di Paolino

Messaggio per Solennità di San Paolino, patrono della Diocesi di Nola e patrono secondario della Regione Campania

 

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Nola,

il 15 maggio 1909 le reliquie del nostro San Paolino, furono finalmente riportate da Roma a Nola per concessione di Papa Pio X. Si pose fine così ad un distacco forzato e a numerose peripezie, che per quasi mille anni avevano privato noi nolani del contatto “fisico” con il nostro amato Patrono. Dobbiamo essere grati, pertanto, alla sollecitudine pastorale del venerato Vescovo Agnello Renzullo che seppe dar voce ai desideri profondi del popolo e dei suoi predecessori, indirizzando al Beato Pontefice parole accorate che favorirono una decisione storicamente eccezionale. Il ritorno di Paolino a Nola, di nuovo tra la sua gente, coincise con la riapertura in quello stesso anno della nostra Cattedrale dopo la totale ricostruzione e, incastonandosene come gemma preziosa, la rese ancor più un gioiello di valore come ancor oggi possiamo ammirala.

Mi piace collegare questi due avvenimenti della traslazione delle reliquie e della riapertura della Cattedrale, perché dovunque arriva e ritorna Paolino si riemerge sempre dalle macerie: fu così quando da governatore imperiale decise di trasferirsi nel coemeterium nolano, lasciandoci il patrimonio inestimabile delle Basiliche; è così ogni anno quando nella sua ricorrenza lo veneriamo con un culto festoso che si tramanda di generazione in generazioni. Come non vedere in questo passaggio storico un segno di speranza anche per noi oggi? Anche noi, infatti, assistiamo alle “rovine” di un prolungatosi tempo di pandemia che – sebbene sia ancora in corso, ci auguriamo con i suoi ultimi colpi di coda grazie alle vaccinazioni – ci chiede già di iniziare a progettare la ricostruzione spirituale, ecclesiale e sociale nelle nostre comunità. E anche la nostra Cattedrale – in quest’anno, dopo molti decenni – sta ricevendo degli importanti interventi di manutenzione che chiederanno nei prossimi mesi una nostra corresponsabilità, anche economica, proprio in quello spirito paoliniano che volle le basiliche di Cimitile sempre belle per decoro artistico e sicurezza strutturale. Lo dico come delicato appello: non abbiamo potuto in questi due anni costruirgli gli obelischi votivi, sarebbe un bel gesto se ci adoperassimo in suo onore a contribuire ai lavori di manutenzione straordinaria di quella casa che custodisce le sue spoglie mortali.

 Stimolati, dunque, dalle ormai proverbiali parole di Sant’Agostino, anche noi vogliamo accogliere il monito del Vescovo d’Ippona nella Lettera XXVI a Licenzio, già suo giovane discepolo: «Vai in Campania e impara Paolino». Un’esortazione questa che potremmo assumere in maniera particolarmente avvertita in questo prossimo decennio durante il quale prepararci alla celebrazione del giubileo in suo onore, commemorando i 1600 anni del suo dies natalis in Dio.

Con la consapevolezza e la fierezza spirituale di inserirmi, per grazia di Dio e della Sede apostolica, nella cronotassi della vivente Tradizione di questa bella chiesa nolana, desidero attingere da questo mio santo Predecessore alcuni stimoli e sollecitazioni che possano aiutarci in quell’impegno di ristrutturazione spirituale già indicato da papa Francesco nella Evangelii gaudium per tutta la Chiesa ed urgente negli anni prossimi che segneranno la ripresa post-pandemia. Ci aspettano anni intensi, nei quali saremo chiamati anche noi a ricompattare il tessuto di fede delle nostre comunità parrocchiali e familiari. Tutti a lavoro, dunque, nel grande cantiere diocesano!

Ricostruire alla luce della Pasqua di Cristo le ferite dei tanti lutti in famiglia
La chiave per entrare nella vita e nella conversione di Paolino è certamente la Croce gemmata che egli stesso delineò con il suo genio artistico e con la sua esistenza credente. San Paolino seppe vedere nella croce gloriosa la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Fece di un cimitero un luogo di rinascita e di bellezza. Il culto intorno alla tomba di San Felice, che lui scoprì mentre era ancora governatore della Campania, lo aiutò certamente ad elaborare la prematura morte del figlioletto Celso, dopo solo otto giorni dalla nascita. Scoprì che nell’unica comunione dei santi la vita non finisce e con la moglie Terasia, già cristiana, elaborò nella fede un così straziante dolore. In quest’anno tante famiglie hanno fatto l’esperienza della perdita di un loro caro. Siamo chiamati a intercettare questa nuova e difficile frontiera pastorale, favorendo cammini di elaborazione del lutto, per rivivere anzi, alla luce del mistero pasquale del Signore morto e risorto, una nuova relazione con i cari defunti e appropriarci della loro presenza in comunione con noi. Il nostro Patrono ci può aiutare a percepire il morire alla luce del mistero della Resurrezione.

È l’annuncio del Kerygma alle famiglie la sfida più grande che come Chiesa ci attende. Lo ricordavo già nella mia Lettera Pastorale del 2020 a proposito dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana e con maggior slancio lo ribadisco ora alla luce degli accadimenti del Coronavirus. Da quest’annuncio del vescovo Ambrogio a Milano, Paolino scelse di farsi battezzare trovando nuovo senso per la sua vita personale e di coppia. Grazie a quest’annuncio il Retore di Bordeaux convertì la sua arte poetica a servizio della fede, comprendendo che ormai da credente tutto doveva essere ricapitolato in Cristo: «Per me l’unica arte è la fede, e Cristo la mia poesia» (Carme XX, 32). Siamo chiamati, dunque, a mettere le nostre competenze e sensibilità a servizio della fede pasquale. Non è più il tempo delle eccellenze autoreferenziali, abbiamo bisogno in quella dimensione sinodale voluta da papa Francesco, accolta dalla Chiesa italiana e già sperimentata dalla nostra Diocesi, di mettere a servizio dell’evangelizzazione, all’interno delle nostre parrocchie, i carismi che il Signore ci ha donato. Competenza e ministerialità ci sono state ricordate recentemente dal Santo Padre come coordinate fondamentali della pastorale, anche istituendo l’antico ministero del Catechista (Cfr. Antiquum Ministerium, n. 5).

Ricostruire la famiglia a partire dall’amore in Cristo degli Sposi
Il Carme XXV composto tra l’anno 405-406 per le nozze di Giuliano e Titia rappresenta la più antica fonte liturgica che attesta la sacramentalità del matrimonio. Paolino riportando i particolari dettagli del rito liturgico, ci tramanda di conseguenza l’importanza che da subito ebbero le nozze come celebrazione in chiesa. Egli stesso aveva sperimentato che Cristo offre all’amore dei coniugi quella particolare grazia che mantiene uniti nella comune missione familiare. Non ripudiò Terasia per la sua vita ecclesiastica, ma si unirono nella novità di una forma di vita cenobitica. Come fu precursore dell’ascetismo occidentale attraverso una forma comunitaria di monachesimo, così ci offre la possibilità di rintracciare uno stile familiare a servizio dell’evangelizzazione, nella quale gli sposi proprio come coppia, hanno un ruolo fondamentale. Ritroviamo nella sua testimonianza quanto Papa Francesco richiama nella Amoris laetitia e che già il Vaticano II aveva auspicato. Fu prezioso, non dimentichiamolo, il ruolo della credente Terasia (della quale mai abbastanza si parla e si studia) che seppe, in un qualche modo, portare il marito sulle strade del Vangelo, diventando in tal modo ambedue esempio e sprone alla partecipazione coniugale e familiare alla vita comunitaria cristiana. Sarebbe anche oggi una vera ricchezza se tante mogli e mariti potessero partecipare insieme, con i loro figli, giovani e ragazzi, alle diverse attività pastorali della parrocchia, la quale acquisterebbero così un volto e una feconda tonalità familiare! Vi incoraggio, cari coniugi, a non demordere: la perseveranza nella preghiera e nella testimonianza ottiene sempre frutti maturi di conversione. Terasia vi sia da modello e da incoraggiamento anche a scoprire e a vivere il ruolo della donna nella comunità cristiana e nell’evangelizzazione. Mi sembra importante raccogliere questa eredità, anche in un tempo che vede la crisi dei matrimoni sia nel loro nascere sacramentale che nella durata della loro continuità familiare. Non rinunciamo alla dimensione sacramentale che da credenti è l’unica ritualità da scegliere per fondare la famiglia sulla roccia di Cristo. Tanti, troppi, scelgono la convivenza o il rito civile per comodità o convenienza; non meno per paura di fronte ai fallimenti di tante coppie. Vere sono anche le difficoltà occupazionali e le restrizioni sanitarie di questo tempo, ma la grazia sacramentale è quanto serve per fronteggiare le difficoltà e le crisi attuali.

Ricostruire con la bellezza della carità accogliendo le nuove povertà
Paolino e Terasia nel cenobio di Cimitile scelgono di abitare con i poveri e i pellegrini. Così motivano la loro intuizione: «Il piano terra è sempre aperto a tutti i bisognosi, sicché noi, che abitiamo al di sopra, possiamo porgere ai poveri ogni premura e nutrimento, mentre essi con i loro meriti recano salutare ristoro nelle nostre spirituali ferite: noi ci prendiamo cura dei loro corpi essi, con la preghiera assicurano la salvezza della casa dove sono ospitati» (Carme XXI). Troviamo in queste parole uno stile di servizio ai poveri autenticamente evangelico che mantiene insieme quella relazione di reciprocità e soprattutto quel compito di promozione spirituale che ci è chiesto come nostro specifico di discepoli del Signore. Paolino è consapevole di non essere un semplice operatore sociale, ma la sua identità profetica e regale da battezzato lo spinge a riconoscere nei poveri quel Cristo che ha conosciuto nella fede e nella liturgia. Bisogna guardarsi bene, pertanto, da un assistenzialismo unilaterale verso i poveri che si fermi ad intercettare per loro esclusivamente forme di ristori economici. Questa pandemia ha creato nuove forme di povertà che si aggiungono a quelle di antica indigenza. Per questo bisogna individuare nuovi metodi di solidarietà e vicinanza. È necessario, piuttosto, condividere la vita dei poveri, ascoltare le reali esigenze e lasciarsi anche evangelizzare da poveri. Paolino non fa scelte pauperistiche ed è lontano dalla teatralità di gesti che potrebbero apparire in un contesto attuale un ritorno di consenso d’immagine. A chi rimaneva ammirato della sua decisione di spogliarsi dei beni materiali, egli ricordava che tale gesto era ben lontano dal rappresentare già la piena conversione: «L’abbandono o la vendita dei beni temporali posseduti in questo mondo non costituisce il compimento, ma soltanto l’inizio della corsa nello stadio; non è, per così dire, il traguardo, ma solo la partenza. L’atleta infatti non vince allorché si spoglia, perché egli depone le sue vesti proprio per incominciare a lottare, mentre è degno di essere coronato vincitore solo dopo che avrà combattuto a dovere» (Lettera XXIV a Sulpicio Severo). Va anche ricordato che l’attenzione ai poveri non va messa in contrapposizione con la cura per la bellezza e la dignità dei luoghi di preghiera: la ricostruzione artistica delle Basiliche intorno alla tomba di Felice nell’intenzione del Santo Vescovo era essa stessa un’attività caritativa. Infatti, mentre accompagnava San Niceta nella visita alle sue Basiliche, così illustrava il suo progetto: «Ora voglio che tu contempli le pitture che si snodano in lunga serie sulle pareti dei portici dipinti […]. A noi è sembrata opera utile rappresentare con la pittura argomenti sacri in tutta la casa di Felice, nella speranza che, alla vista di queste immagini, la figura dipinta susciti l’interesse delle menti attonite dei contadini» (Carme XXVII). Ne deriva che anche la carità culturale è una delle sfide che ci vede impegnati a realizzare come credenti un nuovo umanesimo in Gesù Cristo. Questo tempo di pandemia, con il distanziamento e le relative chiusure, con le paure e i sospetti di contagio ci ha resi tutti più poveri e a tratti ci abbrutiti in logiche funzionalistiche e troppo pragmatiche. Oltre i pur necessari protocolli di contingentamento, ricostruiamo relazioni ricche di bellezza!

Ricostruire le relazioni distanziate con l’arte nell’amicizia ecclesiale
Il recente convegno di studi internazionale promosso dal nostro Centro Studi e documentazione su Paolino di Nola e dalla Biblioteca diocesana, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II e altre Istituzioni universitarie, ci ha illustrato ulteriormente la figura di Paolino in quella rete fitta di scambi amicali e di fede che ha avuto nel Mediterraneo il suo bacino di interazione. Sono grato al Centro di studi e documentazione e a tutti i suoi dirigenti, perché ancora una volta ci offre la possibilità di riconoscere il nostro come il “Santo dell’amicizia”. Da Martino di Tours a Girolamo, da Ambrogio ad Agostino, da Delfino di Bordeaux a Niceta di Remesiana, da Vittricio di Rouen a Rufino di Aquileia, da Pammachio a Sulpicio Severo, e a tanti altri ancora si allarga un mare di relazioni amicali fatto di consigli ricevuti e inoltrati, di condivisioni spirituali e pastorali, di prospettive teologiche ampliate. Non si tratta solo di rapporti epistolari o di occasionali incontri di conoscenza, per Paolino l’amicizia è sinonimo di comunione ecclesiale. D’altra parte è inserita nella dinamica stessa che Gesù sceglie come forma di relazione con i suoi discepoli: «Vi ho chiamati amici» (Gv 15, 15). Paolino ha amato la Chiesa e l’ha resa il criterio di ogni suo rapporto: «Non c’è da meravigliarsi se noi, pur lontani, siamo presenti l’uno all’altro e senza esserci conosciuti ci conosciamo, poiché siamo membra di un solo corpo, abbiamo un unico capo, siamo inondati da un’unica grazia, viviamo di un solo pane, camminiamo su un’unica strada, abitiamo nella medesima casa» (Epistola ad Agostino, VI).

Ci aiuti il nostro Patrono a vivere quell’amicizia spirituale in Cristo che costruisce nel tempo la Chiesa, vero cenobio, dove attraverso la familiarità ciascuno, in ogni forma di povertà, sente di poter essere accolto in casa.

  + Francesco Marino

 

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