Un Vangelo da ascoltare e gustare con gli occhi

Messaggio di Natale del vescovo Francesco Marino, nell'ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe di san Francesco

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Nell’ottavo centenario della prima rappresentazione del presepe di San Francesco, il vescovo di Nola, Francesco Marino, scrive alla sua Chiesa un messaggio di Natale per «incoraggiare la bella tradizione di allestire il presepe nelle nostre case e comunità, ma soprattutto ravvivare in tutti noi quelle motivazioni che spinsero Francesco a immaginare di “toccare con gli occhi” il Verbo che si fa carne e pone la sua tenda per abitare in mezzo a noi (Cfr. Gv 1, 14)»: Un Vangelo da ascoltare e gustare con gli occhi il titolo del documento.

Il presepe di san Francesco: un Vangelo da ascoltare e gustare con gli occhi 

Sono tre gli aspetti che il vescovo Marino individua come particolarmente importanti per contestualizzare la scelta del Santo di Assisi: «Egli volle custodire la memoria di Cristo, promuovere l’amore per la Terra santa quale presupposto della pace, annunciare lo stretto legame tra Incarnazione e Eucarestia», scrive il presule. Tre motivazioni che monsignor Marino legge come desideri: desideri che animarono il cuore di San Francesco e che il vescovo di Nola invita, ciascuno, a riscoprire:

  • il desiderio di non perdere il contatto vivo con l’Incarnazione di Cristo, che guidò Francesco nella redazione della Regola: «Sarà stato forse questo superamento del conflitto tra carisma e istituzione che ha fatto avvertire al Santo il desiderio di contemplare e aiutare i suoi frati a meditare l’avvenimento dell’Incarnazione. La povertà non è un’idea, il cristianesimo non è un’ideologia ma l’incontro con una Persona, con la carne viva di Gesù Cristo. Nella sfida storicamente costante e anche attuale tra chi vuole abolire ogni forma istituzionalizzata e chi invece è sempre alla ricerca di nuove norme per disciplinare l’attività pastorale, è necessario custodire la memoria di Cristo che è stimolo e vincolo per una vita credente sempre più autentica ed esigente», scrive monsignor Marino;
  • il desiderio di contemplare un Dio che riapre la strada della Pace, che animava il cuore del Santo, che si fece pellegrino, uomo del dialogo e seminatore della Parola. Al ritorno dai luoghi santi, Francesco volle riprodurre la grotta di Betlemme: «Mi piace pensare che volle immortalare proprio questo principio che ha nella “casa del pane” il suo fondamento. L’Eucarestia è principio di comunione, non a caso la rappresentazione del presepe la volle nella Messa di mezzanotte. Pace, Eucarestia e impegno per la comunione nella chiesa e tra i popoli sono gli ingredienti efficaci del Natale e segnano la missione ecclesiale in questo nostro tempo afflitto dalla guerra in Ucraina, nel Medio Oriente e in tante parti del mondo. Ma anche nella Chiesa che ha sempre bisogno, come ci insegna il sinodo, di camminare insieme sulle vie del dialogo evitando contrapposizioni e divisioni ideologiche. Francesco, infatti, si fece pellegrino di pace con un metodo diverso da quello delle crociate pur partendo con quelle stesse navi. Aveva compreso che la strada del dialogo apre corridoi di vera umanità e di trasmissione del Vangelo. Non era preoccupato dal raggiungere conquiste o ottenere risultati pastorali: per lui seminare la Parola era già una vittoria. Come non vedere l’attualità del suo messaggio nel tempo presente in cui è ancora vivo lo scontro nei luoghi santi? Un conflitto che tradisce l’identità di Gerusalemme che ha inscritto nel suo nome l’impegno a racchiudere territori di pace che siano da esempio e paradigma per tutti i popoli della terra. In quei luoghi il conflitto in Israele e Palestina tradisce il sogno di Dio che è venuto sulla terra ad abbattere il muro dell’inimicizia ”ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini” (Ef 2, 17)», continua il vescovo;
  • il desiderio di gustare con gli occhi l’Eucarestia: San Francesco era quasi cieco, «forse per questo – scrive monsignor Marino - pensò al presepe in una grotta e sottoposto all’Altare dove si sarebbe celebrata la santa Messa, per non perdere quell’ultima possibilità di ascoltare con gli occhi la narrazione del Vangelo e anche per lasciarci un ultimo messaggio: la bellezza di Dio si deve ammirare nella liturgia. Per lui il presepe, infatti, non fu una scenetta natalizia o una semplice rappresentazione sacra, ma l’invito a guardare con maggior slancio a quella ripresentazione del mistero eucaristico che rende presente nel tempo il Corpo di Cristo. Incarnazione ed Eucarestia sono strettamente legate. È a questo livello che comprendiamo l’urgenza di celebrare bene il mistero di Cristo che viene ad abitare in mezzo a noi. Non perdiamo mai il legame con la santa Messa, vero sacramento della sua nascita in mezzo a noi. È, infatti, proprio nella celebrazione del mistero che facciamo esperienza del Verbo fatto carne. Francesco non pretendeva di riconoscere in dei figuranti la presenza reale di Cristo, ma aveva bisogno di simboli spirituali che lo aiutassero a mantenere viva la sua adorazione eucaristica. Dobbiamo, dunque, riconoscere che se nel presepe ci pare addirittura di sentirci coinvolti nella scena della notte santa, quanto ancor più mirabile è il dono dell’Eucarestia che in maniera sublime ci mette in comunione con Dio stesso!».
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Messaggio Natale vescovo di Nola

Il messaggio di Natale dei vescovo di Nola

Un Vangelo da ascoltare e gustare con gli occhi 

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Nola, la Pace sia con voi tutti!

Ottocento anni fa, nella notte di Natale del 1223 a Greccio, san Francesco d’Assisi volle rappresentare per la prima volta nella storia il grande avvenimento della Natività di Cristo. In quest’anno giubilare sono lieto di celebrare insieme con voi questa scelta profetica del Poverello, e con questo mio messaggio natalizio desidero non solo incoraggiare la bella tradizione di allestire il presepe nelle nostre case e comunità, ma soprattutto ravvivare in tutti noi quelle motivazioni che spinsero Francesco a immaginare di “toccare con gli occhi” il Verbo che si fa carne e pone la sua tenda per abitare in mezzo a noi (Cfr. Gv 1, 14).

Come sono accorate le parole riportate dal suo biografo Tommaso da Celano: «Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del divino Infante». E questo desiderio è diventato contagioso per ben otto secoli fino a noi oggi. Il presepe, dalla sobrietà francescana alle attualizzazioni delle botteghe di San Gregorio Armeno, ha catechizzato generazioni di bambini, entusiasmato giovani, emozionato adulti, commosso anziani; tutti ci sentiamo parte di quella storia, coinvolti in quell’avvenimento. La società dei consumi, purtroppo, ci ha posto difronte all’alternativa tra albero decorato o presepe, quasi dovessimo scegliere di dimezzare le nostre emozioni e ridimensionare le nostre tradizioni: il Natale in tutta la sua interezza, in quell’allestimento domestico e nella ritualità liturgica accende il nostro desiderio di vedere Cristo in ogni luogo del nostro vivere. Come ci ha ricordato papa Francesco qualche anno fa nella sua Lettera sul significato e il valore del presepe: «Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della sacra Scrittura» (Admirabile signum, 1).

È per questo che possiamo ancora chiederci: cosa spinse Francesco a fare il presepe? Abbiamo bisogno di ritornare a quelle motivazioni perché parlano al nostro oggi. Tre aspetti mi paiono particolarmente importanti per contestualizzare questa sua decisione. Egli volle custodire la memoria di Cristo, promuovere l’amore per la Terra santa quale presupposto della pace, annunciare lo stretto legame tra Incarnazione e Eucarestia.

  1. Il desiderio di non perdere il contatto vivo con l’Incarnazione di Cristo

Il 1223 è un anno importante per il francescanesimo: il 29 novembre papa Onorio III con la Bolla Solet annuere aveva approvato la Regola. Come sappiamo con non poche difficoltà in quell’anno frate Francesco aveva dovuto accettare di scrivere una regola per dare anche una forma giuridica e canonica all’Ordine. Questo processo fu un percorso di discernimento abbastanza tormentato nell’animo del nostro Santo: era in gioco la sfida di non perdere la profezia del carisma, originato dalla sua personale conversione, e l’esigenza di istituzionalizzare una forma di vita accessibile a tanti che sceglievano di seguirlo. Non fu certamente facile per lui accettare questa esigenza che, potremmo dire, segna quel processo di maturazione “sinodale” all’interno della comunità dei suoi frati, i quali gli avevano chiesto, al netto delle resistenze e degli interessi personali, di redigere delle costituzioni che, sebbene fondate sul principio fondamentale del Vangelo “sine glossa”, tuttavia prevedessero norme più strutturate di adesione e partecipazione al carisma della povertà. Ne vennero fuori 12 capitoli che diedero forma canonica all’Ordine religioso. Sarà stato forse questo superamento del conflitto tra carisma e istituzione che ha fatto avvertire al Santo il desiderio di contemplare e aiutare i suoi frati a meditare l’avvenimento dell’Incarnazione. La povertà non è un’idea, il cristianesimo non è un’ideologia ma l’incontro con una Persona, con la carne viva di Gesù Cristo.

Quanto abbiamo anche noi bisogno di non perdere l’ancoraggio a Cristo, alla realtà e alla concretezza del suo stile e dei suoi sentimenti! Lo abbiamo visto negl’incontri del cammino sinodale nella nostra diocesi e in tutta la Chiesa; ce lo ricorda costantemente Papa Francesco. È la vivacità dell’incarnazione che impedisce alla Chiesa di restare ferma al passato, è il movimento del presepe che ci stimola a cogliere la venuta di Cristo come un cammino continuo verso l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo specialmente i fragili, i deboli e i vulnerabili che ancora oggi nella notte buia della nostra società sono i primi destinatari della venuta del Messia. Ogni cambiamento delle strutture ecclesiali, ogni proposta di aggiornamento e adattamento, deve passare al vaglio della luce che emana dalla grotta di Betlemme. Nella sfida storicamente costante e anche attuale tra chi vuole abolire ogni forma istituzionalizzata e chi invece è sempre alla ricerca di nuove norme per disciplinare l’attività pastorale, è necessario custodire la memoria di Cristo che è stimolo e vincolo per una vita credente sempre più autentica ed esigente.

  1. Il desiderio di contemplare un Dio che riapre la strada della Pace

Un secondo motivo per rappresentare il presepe sarà stato certamente il suo viaggio nei luoghi santi. Nel 1219 era riuscito, al suo terzo tentativo, a raggiungere la Terra santa e addirittura ad avere un dialogo con il sultano a Damietta. Betlemme lo colpì particolarmente al punto che nella Valle Reatina intravide numerose somiglianze con i luoghi della nascita di Gesù. Così ci raccontano le Fonti francescane: «giunto a Fonte Colombo, mandò subito a chiamare Giovanni Velita, signore di Greccio, e così disse: “Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme”». Mi piace pensare che volle immortalare proprio questo principio che ha nella “casa del pane” il suo fondamento. L’Eucarestia è principio di comunione, non a caso la rappresentazione del presepe la volle nella Messa di mezzanotte. Pace, Eucarestia e impegno per la comunione nella chiesa e tra i popoli sono gli ingredienti efficaci del Natale e segnano la missione ecclesiale in questo nostro tempo afflitto dalla guerra in Ucraina, nel Medio Oriente e in tante parti del mondo. Ma anche nella Chiesa che ha sempre bisogno, come ci insegna il sinodo, di camminare insieme sulle vie del dialogo evitando contrapposizioni e divisioni ideologiche. Francesco, infatti, si fece pellegrino di pace con un metodo diverso da quello delle crociate pur partendo con quelle stesse navi. Aveva compreso che la strada del dialogo apre corridoi di vera umanità e di trasmissione del Vangelo. Non era preoccupato dal raggiungere conquiste o ottenere risultati pastorali: per lui seminare la Parola era già una vittoria. Come non vedere l’attualità del suo messaggio nel tempo presente in cui è ancora vivo lo scontro nei luoghi santi? Un conflitto che tradisce l’identità di Gerusalemme che ha inscritto nel suo nome l’impegno a racchiudere territori di pace che siano da esempio e paradigma per tutti i popoli della terra. In quei luoghi il conflitto in Israele e Palestina tradisce il sogno di Dio che è venuto sulla terra ad abbattere il muro dell’inimicizia «ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini» (Ef 2, 17). Non ci stanchiamo di domandare «pace per Gerusalemme, pace sulle sue mura sicurezza nei suoi baluardi» (Cfr. Salmo 122). Cristo si è incarnato per restituire all’uomo la pace; nella notte di Natale contempleremo proprio questo mistero e questo ci stimoli, nelle nostre case e nei luoghi di lavoro, a costruire quell’unità e quella concordia che speriamo e per la quale ci impegniamo nel mondo intero. Udiamo forte il canto degli Angeli che annunciano la pace a tutti quanti sono “amati dal Signore” e ci sentiamo uniti sinodalmente agli uomini di buona volontà, credenti e non credenti. Abbiamo da poco celebrato il sessantesimo anniversario dell’enciclica Pacem in Terris (11 aprile 1963) di san Giovanni XXIII ed è bello ricordare le parole del Papa buono che ci aiutano a cogliere lo stretto legame tra incarnazione e impegno per la pace: «La pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel rispetto dell’ordine stabilito da Dio» (n. 1).

  1. Il desiderio di gustare con gli occhi l’Eucarestia

Un ultimo aspetto vorrei sottolineare come motivazione che spinse Francesco a desiderare così fortemente di vedere il presepe. Iniziava per lui una grande sofferenza agli occhi, forse una congiuntivite mal curata, che lo portò due anni dopo, proprio a Fonte Colombo vicino Greccio, a sottoporsi ad un dolorosissimo intervento oculistico con un ferro arroventato. La cauterizzazione lo rese quasi cieco fino alla sua morte. Forse per questo pensò al presepe in una grotta e sottoposto all’Altare dove si sarebbe celebrata la santa Messa, per non perdere quell’ultima possibilità di ascoltare con gli occhi la narrazione del Vangelo e anche per lasciarci un ultimo messaggio: la bellezza di Dio si deve ammirare nella liturgia. Per lui il presepe, infatti, non fu una scenetta natalizia o una semplice rappresentazione sacra, ma l’invito a guardare con maggior slancio a quella ripresentazione del mistero eucaristico che rende presente nel tempo il Corpo di Cristo. Incarnazione ed Eucarestia sono strettamente legate. È a questo livello che comprendiamo l’urgenza di celebrare bene il mistero di Cristo che viene ad abitare in mezzo a noi. Non perdiamo mai il legame con la santa Messa, vero sacramento della sua nascita in mezzo a noi. È, infatti, proprio nella celebrazione del mistero che facciamo esperienza del Verbo fatto carne. Francesco non pretendeva di riconoscere in dei figuranti la presenza reale di Cristo, ma aveva bisogno di simboli spirituali che lo aiutassero a mantenere viva la sua adorazione eucaristica. Dobbiamo, dunque, riconoscere che se nel presepe ci pare addirittura di sentirci coinvolti nella scena della notte santa, quanto ancor più mirabile è il dono dell’Eucarestia che in maniera sublime ci mette in comunione con Dio stesso! Il Signore nelle sante specie non ci dona un segno della sua presenza, ma si fa Presenza viva per la nostra salvezza. Dalla contemplazione del presepe, quasi come un efficace esercizio spirituale, deve scaturire il desiderio di intensificare sempre più il tempo da trascorrere in adorazione del santissimo Sacramento. Non mi stancherò mai abbastanza di sollecitare le nostre comunità a celebrare bene la liturgia, rifuggendo personalismi e sciatterie, perché si possa contemplare la gloria di Dio che si manifesta ai nostri occhi. Andando a Nazareth nella Basilica della Natività è impressa sul marmo dell’Altare maggiore la scritta: “Qui il Verbo si fece carne”. Come abbiamo bisogno di contemplare il grembo vergine della Madonna per accogliere il mistero dell’Incarnazione, così nella purezza del celebrare prende forma e sostanza ogni giorno la vita di Cristo. Ci aiuti Maria, la Madre di Gesù, ad attendere sempre la venuta del Signore in mezzo a noi!

Fratelli e sorelle carissimi, ricordando il presepe e preparando il Natale, come non pensare anche al nostro Sant’Alfonso Maria de’ Liguori che ha “allestito presepi” con le dolci parole dei suoi canti natalizi? Penso alle nenie e alle pastorali che ci fanno “vedere”, ascoltando e cantando, la scena della Natività. In particolare mi risuona nel cuore il bellissimo canto “Tu scendi dalle stelle” composto proprio qui a Nola nel dicembre del 1754. Mentre ci prepariamo nel prossimo anno a ricordane il duecentosettantesimo anniversario della sua composizione mi è caro ravvivare con voi la gratitudine per il mistero dell’Incarnazione con le parole del Santo Vescovo:  Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo. O Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar; o Dio beato! Ahi quanto ti costò l'avermi amato!

Buon Natale a tutti e a ciascuno!

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