Basiliche di Cimitile

Un luogo dove arte, storia e spiritualità dialogano senza sosta

a cura del Prof. Carlo Ebanista

Tra II e III secolo d.C., in un’area ubicata a circa 1,5 km dalla città di Nola e non molto lontana dalle ville, si sviluppò una necropoli costituita da mausolei allineati lungo l’asse nord-sud; oltre a tombe in laterizi, gli edifici funerari accolsero sarcofagi e urne cinerarie in marmo. Non va escluso che il sepolcreto sorse proprio in relazione alla popolazione residente nelle adiacenti ville.

Alla fine del III secolo nella necropoli fu seppellito il sacerdote Felice, morto il 14 gennaio di un anno a noi sconosciuto; prestigioso esponente della comunità cristiana di Nola, Felice aveva amministrato la chiesa locale durante l’assenza forzata del vescovo Massimo, rinunciando però a succedergli nella carica. Pressappoco nello stesso periodo nel settore sud della necropoli venne edificato il mausoleo 13 con sei arcosoli affrescati, due dei quali hanno conservato le immagini di Adamo ed Eva e la scena di Giona che viene gettato in mare.

Dalla prima metà del IV secolo, intorno alla venerata tomba di Felice, si sviluppò il famoso santuario, celebre in tutto l’Occidente, come ricorda S. Agostino. Presso il complesso monumentale, collegato a Nola da una strada lastricata, sorse un villaggio che S. Paolino, futuro vescovo della città (409-431), ricorda per la prima volta nel 399-400. Dall’originaria destinazione sepolcrale, il santuario e l’abitato derivarono la denominazione di Cimiterium che nell’alto medioevo si affiancò a quella ben più antica di Nola; attestato per la prima volta nell’839, il toponimo si trasformò nel corso dei secoli in Cimitino e quindi in Cimitile.

Sebbene danneggiato da una disastrosa alluvione agli inizi del VI secolo, il villaggio fu ininterrottamente abitato, grazie alla presenza del santuario che continuò ad essere meta di pellegrinaggi.

Tra VI e VII secolo Cimiterium evidenzia una stagione particolarmente fiorente di pellegrinaggi e la presenza di un vivace insediamento che gravitava attorno al santuario, in analogia con i più importanti centri martiriali dell’epoca; vecchi scavi occasionali e recenti indagini archeologiche sembrano attestare che, sino al VII secolo, il nucleo abitato si estese nella zona a sud-est del santuario (ossia in direzione di Nola) dove fu reinsediata l’area di una villa d’età imperiale, mentre tra VIII e XI secolo si sviluppò verso nord-est.

Situato in un territorio a lungo conteso tra i principi longobardi di Benevento e Salerno e i duchi di Napoli, Cimiterium, tra IX e X secolo, subì le scorrerie di Saraceni e Ungari. Intanto al decumano della centuriazione romana (attuale corso Umberto I) si era sovrapposta la via antiqua, cioè la strada che collegava Napoli ad Abellinum. La felice posizione lungo questo importante asse viario risultava ben evidente nel XII secolo, allorché il geografo arabo Al-Edrisi, nel descrivere la rete stradale tra Benevento, Avellino e Salerno, non mancava di ricordare g.bîtirah (cioè Cimiterium). Fu proprio lungo la via antiqua (che avrebbe preso il nome di ‘strada regia’) che, tra i secoli terminali del medioevo e la prima età moderna, si sviluppò l’abitato di Cimitile e vennero costruiti nuovi edifici di culto, di pertinenza laicale o conventuale.

Quadriportico e tomba di San Felice Cimitile

Il santuario risultò ai margini del contesto urbano cimitilese e decentrato rispetto alla ‘strada regia’. In particolare il nucleo centrale dell’insediamento sembra costituito dall’incrocio tra questo percorso stradale e l’asse viario Nola-Camposano (ossia via S. Giacomo-via Forno), dove sorgerà la residenza degli Albertini, una delle più prestigiose casate dell’aristocrazia nolana. Legata all’amministrazione imperiale e di tradizioni filo-spagnole, la famiglia Albertini per tutto il Cinquecento riuscì ad occupare con suoi esponenti alcune cariche fondamentali per la vita economica e amministrativa dello stato, arrivando a coprire nel territorio nolano lo spazio lasciato libero dalla crisi della tradizionale potenza degli Orsini. Nell’arco di un secolo gli Albertini acquistarono a Cimitile una masseria, una taverna e alcuni terreni confinanti, situati lungo la ‘strada regia’; agli inizi del XVII secolo il campo adiacente la taverna venne adibito al carico e allo scarico delle merci nonché alla sosta di quanti percorrevano l’importante asse viario. Consolidata la posizione patrimoniale, nel 1640 Girolamo I Albertini acquistò dal re di Polonia il feudo di Cimitile. Nella seconda metà del secolo il centro fu interessato da un grave decadimento sociale e morale che sfociò nelle efferate imprese dei banditi Cesare e Felice Antonio Riccardi; la circostanza comportò il distaccamento a Cimitile di truppe spagnole. Agli inizi del XVIII secolo Girolamo II Albertini trasformò taverna e masseria in un’elegante dimora con annessa cappella gentilizia dedicata a Sant’Anna e due giardini; nel 1726 quello più piccolo, abbattuti il muro di cinta e gli alberi, fu unito allo spiazzo antistante la taverna, insieme al quale venne a costituire l’attuale piazza di Cimitile.

Alla fine del III secolo d.C. la deposizione di S. Felice in una semplice tomba in laterizi dotata di cuscino funebre e incavo per l’appoggio della testa determinò la trasformazione dell’originario impianto della necropoli, grazie alla costruzione di nuovi mausolei e alla massiccia e disordinata sovrapposizione di tombe cristiane in tutti gli spazi disponibili, sia all’interno sia all’esterno degli edifici funerari. Dopo la pace religiosa del 313, presso il venerato sepolcro, si svi­luppò il santuario, meta ininterrotta di pellegrinaggi. La presenza dei mausolei condizionò l’impianto degli edifici di culto: la prima chiesa, nota come aula ad corpus venne, infatti, costruita con orientamento nord-sud nell’angolo del piazzale delimitato dagli ambienti funerari, sfruttando lo spazio reso libero dalla distruzione di tre mausolei. La tomba di S. Felice, data la scelta obbligata, venne a trovarsi in posizione eccentrica rispetto all’asse dell’aula ad corpus e a breve distanza dall’ingresso, presso il quale i pellegrini lasciarono un segno del loro passaggio, incidendo sull’intonaco rosso frasi bene auguranti, formule acclamatorie, espressioni di scioglimento di voti e semplici nomi. Intorno alla metà del IV secolo, ad est dell’aula fu realizzata un secondo edificio di culto con tre navate e l’abside ad est, la cosiddetta basilica orientale; anche l’ubicazione di questa chiesa fu determinata dalla presenza dei mausolei funerari. L’intensa attività edilizia intorno alla tomba è strettamente legata alla devozione per il santo e alla necessità di spazi da destinare alle sepolture; nel complesso basilicale, d’altra parte, la comunità locale ha inumato i propri defunti fino al 1838. Le numerose epigrafi cristiane conservate a Cimitile contribuiscono significativamente alla ricostruzione della serie dei vescovi nolani, ma anche alla conoscenza della comunità legata al santuario di S. Felice. 

La diffusione del culto del santo e la trasformazione del cimitero in un grandioso e frequentatissimo santuario sono legate alla figura di un prestigioso esponente dell’aristocrazia romana, Meropio Ponzio Paolino, noto come Paolino di Nola. Originario di Burdigala (odierna Bordeaux) in Gallia e stretto collaboratore dell’imperatore Graziano, Paolino ricoprì tra l’altro anche la carica consolare. Dopo la prima visita al complesso, avvenuta quand’era governatore della Campania, si stabilì definitivamente presso la tomba di S. Felice alla fine dell’estate del 394 o 395, insieme alla moglie Terasia. Impegnando le risorse ricavate dalla vendita delle numerose proprietà, Paolino restaurò i preesistenti edi­fici di culto, sistemò un recinto di transenne marmoree intorno alla tomba venerata e costruì un’ampia basilica che chiamò nova per distinguerla dalla vetus, già esistente. Eretta tra 401 e 403 a nord dell’aula ad corpus, la nuova basilica non era rivolta ad oriente, ma verso il sepolcro di S. Felice. Per collegare i due edifici Paolino fece abbattere l’abside del primitivo edifico di culto, al posto della quale eresse un triforium, recante su ogni lato tre tituli; questa triplice apertura consentiva l’accesso ad un atrio, nel quale collocò zampillanti fontane e un cantharus con copertura a baldacchino. Dall’atrio, attraverso un altro triforium anch’esso sormontato da iscrizioni, si entrava nella basilica nova che aveva le navate separate da colonne: quella centrale, con il soffitto a cassettoni, era affrescata con scene del Vecchio Testamento, illustrate da tituli. Ai lati delle navate laterali si aprivano delle cappelle destinate alla preghiera e alla sepoltura dei religiosi e dei loro familiari: sugli ingressi Paolino fece apporre delle iscrizioni che non ci ha tramandato. Il presbiterio aveva l’abside trichora rivestita di marmi nel pavimento e nelle pareti. Nella conca mediana una cornice in stucco accoglieva il titulus che faceva riferimento alle reliquie deposte da Paolino nel sottostante altare; un’altra iscrizione metrica illustrava il mosaico del catino: al centro ricorreva una grande croce gemmata, circondata dal cielo stellato e da dodici colombe; in basso, sul monte paradisiaco con i quattro fiumi, era l’agnus Dei, verso il quale convergevano due teorie di sei agnelli. Come suggerivano altri tituli, l’absidiola destra era riservata alla conservazione degli arredi sacri, mentre la sinistra custodiva le sacre scritture. Quanto alla suppellettile liturgica destinata al nuovo edificio, Paolino ricorda la preziosa croce sospesa davanti all’altare, i candelabri applicati alle colonne e le lampade fissate con catenelle bronzee al soffitto della navata centrale. Per venire incontro alle esigenze dei numerosi pellegrini, Paolino lastricò la strada che conduceva a Nola, costruì alloggi per i poveri e restaurò l’acquedotto proveniente da Avella. Eresse, inoltre, alcuni ambienti monastici per ospitare quanti volevano condividere con lui il ritiro nella preghiera presso la tomba di S. Felice. In contatto epistolare con i più illustri esponenti della cristianità (Agostino, Girolamo, Rufino, Sulpicio Severo), Paolino compose 14 carmi natalizi per celebrare la festività di S. Felice. Divenuto vescovo di Nola nel 409, continuò a vivere presso il venerato sepolcro, dove fu sepolto nel 431.

Affreschi Basiliche Paleocristiane di Cimitile

Nel corso del V secolo, ad ovest della basilica nova, venne eretta la basilica di S. Stefano, un edificio mononave con l’ingresso ad est, rivolto verso la tomba di S. Felice. La chiesa fu costruita con blocchetti di tufo anteriormente all’i­nondazione degli inizi del VI secolo, dal momento che, come hanno appurato le ricerche archeologiche, il fango alluvionale si addossò all’abside ed entrò all’interno attraverso le arcate laterali. A seguito dell’evento, la chiesa venne ristrutturata e accolse delle sepolture.

Dopo la morte di Paolino, avvenuta il 22 giugno 431, il recinto di transenne sulla tomba di S. Felice venne prima ampliato verso sud per includere il sepolcro dell’evergete e, dopo la disastrosa alluvione degli inizi del VI secolo, fu trasformato in un grande altare. Intorno alle due tombe fu eretta l’edicola mosaicata: una struttura costituita da quattro pareti in laterizi, ciascuna delle quali presenta tre archi sostenuti da colonne e capitelli di reimpiego. Nella parte alta delle pareti corre il titulus che illustra i lavori di ampliamento e abbellimento della basilica. La parete ovest (dietro alla tomba di S. Felice) presenta un elegante motivo a squame, su fondo oro, a differenza delle altre che sono decorate ciascuna da tre coppie di gira­li; quelli esterni hanno origine presso le quattro palme visibili negli angoli, mentre i girali centrali, legati da nastri rossi, nascono da un cespo d’acanto (pareti nord e sud) oppure da un vaso a due anse (parete est, di fronte al sepolcro di S. Felice), al quale si abbeverano due splendidi pavoni affrontati. Pochi resti delle decorazioni si riconoscono all’esterno delle pareti est (palme e croci) e nord (tralci di vite con grossi grappoli), mentre negli intradossi si alternano motivi geometrici (squame bipartite, cerchi allacciati, reticoli di rombi o rettangoli) e vegetali. Forse nello stesso periodo, ma comunque successivamente all’alluvione, ad ovest dell’aula ad corpus fu edificata la grande ab­side occidentale, sui resti di tre mausolei funerari. Nella basilica, ma naturalmente ad una distanza sempre maggiore dalla tomba di S. Felice, continuarono ad essere sepolti i vescovi di Nola. Tra VI e VII la basilica nova e la basilica di S. Stefano furono restaurate e impiegate a scopo funerario, mentre nel settore occidentale del santuario fu edificata una nuova chiesa: dedi­cata all’apostolo Tommaso venne ideata per accogliere 84 tombe in muratura disposte in direzione est-ovest su due livelli separati da laterizi; nell’abside, leggermente soprelevata, trovarono posto quattro tombe con orientamento est-ovest e una con asse nord-sud. I defunti furono sepolti con oggetti personali (orecchini, fibule, fibbie di cintura) e di corredo (brocchette in ceramica).

Tra VIII e IX secolo la tri­chora e parte della navata centrale della basilica nova furono trasformate in un edificio di culto più piccolo (successivamente noto come S. Giovanni), mentre il triforium di collegamento con la vecchia basilica venne murato e in parte occupato dalla cappella Sancta Sanctorum. Pressappoco nello stesso periodo, all’interno della basilica di S. Felice, l’altare esistente sui sepolcri di Felice e Paolino fu distrutto dai principi longobardi di Benevento per asportare i corpora sanctorum dalle tombe sottostanti; dopo la violazione, l’altare venne prontamente ricostruito, onde consentire la prosecuzione del culto e delle cerimonie liturgiche, mentre, nell’adiacente parete occidentale dell’edicola mosaicata, fu ricavato un deposito per reliquie. Al vescovo Lupeno, che resse la cattedra nolana nella seconda metà del IX secolo, si deve la recinzione del presbiterio orientale della basilica di S. Felice con due plutei e altrettanti pilastrini e il rifacimento dell’ambone. Molto più rilevanti appaiono gli interventi realizzati, tra la fine del IX secolo e gli inizi del successivo, dal vescovo Leone III, nella basilica di S. Felice, oltre che nelle cappelle di S. Calionio e dei Ss. Martiri che erano nate come mausolei funerari. Il presule, che era stato consacrato da papa Formoso, chiuse il vecchio ingresso al mausoleo 13 e ne aprì uno nuovo sul versante nord, dirimpetto alla basilica di S. Felice, e lo impreziosì di un protiro costituito da una volta a botte in muratura sorretta da due menso­le, sulle quali fece incidere il proprio nome; nella lunetta del protiro e all’interno della cappella, dedicata ai Ss. Martiri, venne eseguito uno straordinario ciclo di affreschi con scene della Passione di Cristo e santi. Anche il mausoleo 16, che era stato già da tempo trasformato in cappella con l’aggiunta di un’abside, venne restaurato da Leone III, forse in occasione della collocazione di reliquie di S. Canione, venerato a Cimitile con il nome di S. Calionio. Ai lati dell’abside furono eretti due altarini a blocco sormontati da nicchie con le immagini dei santi Felice e Paolino; anche le pareti furono decorate a fresco; restano ampie porzioni del velarium riccamente decorato e sormontato da un fregio a finte mensole in prospettiva che negli incavi ospitavano degli animali (tra cui una colomba che si abbevera ad una coppa).

Nonostante tra VIII e IX secolo i Longobardi di Benevento avessero trafugato il corpo di S. Paolino e alcune re­liquie di S. Felice, nel basso medioevo il santuario mantenne intatto il suo prestigio. L’ininterrotta frequentazione e la sentita devozione sono testimoniati dai numerosi restauri delle fabbriche paleocristiane e altomedievali e dalla costruzione di nuovi edifici. Tra la fine del XII secolo e la prima metà del successivo all’abside occidentale della basilica di S. Felice fu addossato il campanile, mentre dopo il XIII secolo all’oratorio dei Ss. Martiri fu annessa la cappella di S. Giacomo apostolo. Dopo il VI secolo il santuario intanto fu interessato da fenomeni alluvionali che innalzarono ulteriormente il calpestio; è il caso dell’esondazione che precedette la costruzione della facciata della chiesa di S. Giovanni e della cappella di S. Maria degli Angeli, entrambe edificate nel XIV secolo. La basilica di S. Felice, che fungeva da parrocchiale di Cimitile, era allora retta dal preposito che era assistito da sette sacerdoti, detti ‘confrati’.

Campanile Basiliche di Cimitile XII-XIII secolo

La fama del santuario, venuto a trovarsi lunga la ‘strada regia’ (attuale corso Umberto I), rimase viva anche in età moderna, tanto che il flusso di pellegrini proseguì regolarmente, oltre che il 14 gennaio, anche nei venerdí di marzo in memoria della passione di Cristo. L’eruzione del Vesuvio del 1631 danneggiò alcuni edifici che furono prontamente restaurati a spese del Capitolo della cattedrale di Nola che dalla fine del Cinquecento aveva assunto il controllo del santuario. I canonici fino al 1675 mantennero l’usanza di recarsi tre volte l’anno in processione alla basilica di S. Felice, dove, il 14 gennaio (festa del santo), il 25 aprile (ricorrenza di S. Marco evangelista) e la settimana in albis, prendevano parte alle solenni cerimonie presiedute dal vescovo. Il complesso basilicale riacquistò la piena autonomia solo nel 1675, al termine di una lunga controversia legale sostenuta dal preposito Carlo Guadagni: il sacerdote pose particolare attenzione al restauro della basilica di S. Felice e si prodigò per accogliere degnamente i numerosi pellegrini che accorrevano a Cimitile, realizzando una delle prime guide del luogo (intitolata Nola Sagra) e piantando degli olivi nel giardino del santuario, che nel 1656 era stato circondato da un muro di re­cinzione.

Seriamente danneggiata da un rovinoso crollo alla fine del Seicento, la basilica di S. Felice fu ristrutturata agli inizi del successivo per iniziativa di Girolamo II Albertini, principe di Cimitile. La città di Napoli nel 1700 curò, invece, il restauro della cappella di S. Gennaro, edificata nel secolo precedente sulla ‘fornace’, nella quale, secondo la tradizione, sarebbe stato gettato il santo che rimase, però, miracolosamente illeso. Tra la metà del XVIII secolo e i primi decenni del successivo la basilica di S. Tommaso, la cappella di S. Maria degli Angeli e la chiesa di S. Stefano furono concesse in uso alle locali confraternite che vi effettuarono massicci interventi di ristrutturazione. Alla fine del Settecento, per costruire la nuova parrocchiale, vennero demolite la cappella di S. Gennaro e la parte orientale della basilica di S. Felice. Il nuovo edificio fu realizzato dal preposito Cipriano Rastelli e dal principe Gaetano Albertini per rilanciare il santuario; se, infatti, i pellegrinaggi proseguivano ininterrottamente nei venerdí di marzo, era pressoché scomparso l’afflusso dei fedeli il 14 gennaio, ricorrenza di S. Felice.

I restauri, gli scavi e la creazione dell’Antiquarium

Nell’Ottocento il santuario fu visitato da numerosi studiosi stranieri (soprattutto francesi e tedeschi), anche se versava in un miserevole stato di abbandono. Solo nel 1890 il Ministero della Pubblica Istruzione fece restaurare la basilica di S. Felice, mentre un nuovo intervento, che interessò il campanile della basilica, fu sollecitato e seguito in prima persona nel 1903 dal dott. Gaetano Peluso, ispettore ai monumenti di Cimitile e sindaco del paese; il suo impegno per la tutela e la conservazione del complesso proseguì ininterrottamente sino alla morte, avvenuta nel 1933.

Intanto nel 1931 il soprintendente Gino Chierici iniziò gli scavi e i restauri nel complesso che, a partire dal 1935, proseguirono per qualche tempo sotto la direzione dell’arch. Benedetto Civiletti; le indagini archeologiche rimasero ferme quindi fino al 1954, quando Chierici riprese di nuovo ad occuparsi di Cimitile, senza più fermarsi sino alla morte (1961). La sua scomparsa lasciò incompiuto il progetto di rendere noti i risultati delle indagini, in quanto, per oltre un ventennio, si persero le tracce della documentazione di scavo e del manoscritto cui egli stava lavorando; questa circostanza ha arrecato grave danno alla conoscenza del complesso di Cimitile, al punto che, solo negli ultimi anni, la pubblicazione di una parte della documentazione ha permesso una ripresa degli studi. Lo stesso vale per gli scavi condotti dalla Soprintendenza ai Monumenti, tra il 1963 e il 1967, nelle basiliche di S. Tommaso e S. Stefano; in questo caso il recupero dei dati archeologici è stato reso possibile dalla completa disponibilità degli appunti del cimitilese Vincenzo Mercogliano che prese parte ai lavori, grazie all’esperienza acquisita in vari anni di collaborazione con Chierici.

Rimasto a lungo chiuso al pubblico, il complesso basilicale, di proprietà della parrocchia di Cimitile, nel 1985 è stato affidato in gestione al Comune con un comodato trentennale. Un ampio progetto di restauro e scavo ha interessa­to l’area archeologica alla fine del secolo scorso, consentendo l’acquisizione di nuovi, importanti dati sull’articolata stratificazione. A testimonianza dell’indiscusso valore religioso, oltre che storico-archeologico, il 23 maggio del 1992 il santuario ha accolto, quale illustre pellegrino alla tomba di S. Felice, papa Giovanni Paolo II. La creazione del parco archeologico e l’allestimento dell’Antiquarium, patrocinati dalla Soprintendenza Archeologica di Napoli in occasione del Giubileo del 2000, hanno ulteriormente esaltato la straordinaria unicità e bellezza del complesso; in quella occasione, nelle navata centrale e destra della basilica orientale, è stata esposta una selezione di reperti che documentano le fasi di visita del santuario dalle origini alle soglie dell’età contemporanea.


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